CORRADO RICCI
Cronaca

Muore a 17 anni dopo un tuffo in mare

Il giovane era stato colto da un malore mentre nuotava a San Terenzo

Un’immagine sorridente di Moad Bachkar, morto a 17 anni dopo un tuffo nella baia di San Terenzo

La Spezia, 5 aprile 2019 - Il cuore di Moad Bachkar – che aveva ripreso a battere dopo il recupero-prodezza dai fondali del mare di San Terenzo – ha continuato a pulsare, flebilmente, anche ieri. Ma il cervello del 17enne, dal pomeriggio di domenica, non aveva più dato segni di vita: devastanti e irrimediabili i danni connessi al mancato afflusso di sangue. Decesso da morte cerebrale, quello dichiarato ieri alle 13. Decesso conclamato, quello certificato alle 20 della sera, ad epilogo della procedura di legge, su cui ha vigilato una commissione medica, fino all’ultimo elettroencefalogramma, ancora piatto, ultimo atto prima di staccare le macchine che avevano mantenuto il ragazzino nel coma senza ritorno. «Uno strazio» dice un camice bianco, con le lacrime agli occhi.

Le ultime immagini impresse nel mente del ragazzino sono state quelle degli amici allegri davanti ai quali si era concesso un tuffo azzardato. Poi il malore, il fluttuare inanimato nelle acque calme ma ancora fredde di San Terenzo, l’adagiarsi sul fondo, il recupero ad opera ad opera di tre spezzini - buoni samaritani del mare - che si sono lanciati in suo soccorso. Tutto vano. Tutto generosamente ma terribilmente vano, come il prodigarsi dei medici fuori servizio e di quelli del 118, dei volontari della Pubblica assistenza di Lerici che danno dato il massimo per rianimarlo, centrando l’obiettivo di rimettere in moto il suo cuore, dopo un’ora di disperati e concitati tentativi di rianimazione. Un’ammirevole storia di solidarietà che non ha prodotto i risultati sperati ma che ha lasciato il segno nell’anima dei familiari del ragazzino di origini marocchine. E’ lo zio Mohamed Halfya a farsi portavoce: «In questo momento di dolore estremo sentiamo il bisogno di ringraziare tutti coloro che si sono adoperati per salvare Moad: i primi soccorritori, i medici dell’ospedale, i carabinieri. Ma anche diversi sconosciuti che ci hanno dato conforto, marocchini e spezzini.

Li abbracciamo idealmente...». Forti e reali gli abbracci con i quali ieri, in tanti, hanno cercato di sostenere i familiari del ragazzino, nella veglia della speranza nella sala attigua alla camera sterile del reparto di rianimazione dell’ospedale Sant’Andrea e all’esterno di esso. C’erano numerose persone di origine marocchina, la fidanzatina italiana di Moad, i compagni di scuola della seconda Geometri, gli amichetti di Tivegna, anche alcuni genitori di questi, come Donatella Mallica: «Sono qua a condividere i sentimenti, che non hanno confini», ci aveva detto nel pomeriggio.

Una ‘comunità’ di persone dalla cultura e dal credo diverso ma unite nel dolore e nello sguardo verso il cielo, prima nell’attesa del miracolo poi, col passare delle ore, per affidare a Cristo o ad Hallah, l’anima del ragazzino, un’emblema dell’integrazione.