ELENA SACCHELLI
Cronaca

Interconnessi ma invisibili e fragili: "I giovani si sentono poco ascoltati. E gli adulti non li capiscono più"

Donatella Di Pietrantonio, insieme allo psicologo Matteo Lancini, parlerà del mondo dell’adolescenza

Donatella Di Pietrantonio

Donatella Di Pietrantonio

Sempre più interconnessi, ma allo stesso tempo invisibili. Ci sono gli adolescenti al centro dell’incontro che domenica 31 agosto, alle 17, Donatella Di Pietrantonio, terrà insieme allo psicologo Matteo Lancini nell’ambito del Festival della Mente, che quest’anno ruota attorno al concetto di ’invisibile’. Scrittrice pluri-affermata, e già vincitrice dei prestigiosi premi Campiello e Strega, solo da pochi mesi ha lasciato la sua prima professione - quella di odontoiatra pediatrica, per cui in realtà sta ancora seguendo gli ultimi due pazienti – per dedicarsi completamente a quella che fino a quindici anni aveva considerato solo una passione da coltivare, con estrema cura, ma soltanto per sé. Spinta dal contesto in cui è nata è cresciuta, quello rurale abruzzese, a optare per un mestiere più sicuro, Donatella Di Pietrantonio oggi c’è l’ha fatta ed è riuscita a diventare ciò che avrebbe sempre voluto essere. Ma non ha perso quell’umiltà, quella premura e quella capacità di ascolto, che si possono percepire con nitidezza anche solo conversandoci a distanza.

Di Pietrantonio, quello dell’adolescenza e della sua fragilità è un tema che lei ha già affrontato sia insieme a Matteo Lancini che in diverse sue opere. Basti pensare a ‘L’Arminuta’ o ad ‘Età fragile’. C’è un motivo?

"I temi ricorrenti riportano a dei vissuti e a dei nodi personali. Per me stessa l’adolescenza è stata un’età fragile in cui mi sono sentita brutta, ma anche non considerata. Non ero più una bambina, quindi non avevo più quel diritto di essere sostenuta, ma non ero ancora adulta, quindi mi mancavano esperienza e consapevolezza. Nel mio mondo di nascita questa sensazione era legata a un giudizio di inadeguatezza, per questo per me l’adolescenza è stata un’età particolarmente fragile".

Lei pensa che oggi, in un mondo che ci spinge ad essere sempre connessi, gli adolescenti si possano sentire più invisibili rispetto al passato, quando la vita non era così incentrata e condizionata dai social e dai like?

"Ho l’impressione che sia così, che i giovani oggi si sentano più invisibili e più inascoltati. Rispetto al modo degli adulti credo che i ragazzi si sentano poco importanti per gli adulti stessi, anche per quanto riguarda le loro opinioni. Questo è già un tema, ma c’è anche un aspetto più profondo. Gli adolescenti sono poco ascoltati dagli adulti – dai genitori o dagli insegnanti - che sembra non abbiano le capacità per comprendere cosa di disturbante o comunque di poco rassicurante l’adolescente abbia loro da comunicare. È come se per i ragazzi venisse a mancare un interlocutore che abbia una postura e che sia quindi in grado di dare loro un ascolto profondo".

Per i giovani il sentirsi invisibili o incompresi può sfociare nel ritiro scolastico, ma anche nell’isolamento sociale. Come dovrebbe comportarsi un genitore?

"In primis cercare il dialogo qualora ci sia una finestra di compatibilità. Ma anche non temere di farsi aiutare in quanto genitore. Credo che questo sia il primo passo che un genitore dovrebbe fare qualora notasse dei segnali di sofferenza nel figlio".

Il suo primo libro, ‘Mia madre è un fiume’, è arrivato a quasi 50 anni. È una cosa che avrebbe sempre voluto fare e che ha rimandato per senso del dovere o invece è stata una sorta di epifania?

"Ho sempre scritto. Per me scrivere era un’urgenza, una necessità che mi serviva per sopravvivere al mondo difficile e rurale degli anni Settanta. Non ho mai avuto il coraggio di perseguire quella strada, non mi sentivo una scrittrice, quindi ho scelto un percorso di tutt’altro tipo. Mi sono però accorta che la scrittura non era sopprimibile, quindi ho continuato a farlo come se fosse un hobby. Arrivata a 49 anni mi sono detta: o adesso o mai più. Era arrivato il momento di capire se tutto quel materiale che avevo accumulato era soltanto un mio delirio o se potesse essere scambiabile, per esempio con dei lettori".

Lei si è mai sentita invisibile?

"Sì, invisibile e inadeguata, specialmente in adolescenza, per il mio contesto di provenienza. Mi sono sempre sentita inferiore, e avevo paura che gli altri potessero vedere quell’inferiorità".