REDAZIONE LA SPEZIA

Dalle tempeste alla bonaccia. Sotto il fuoco dei pasdaran o alla disperata ricerca di un naufrago ai Caraibi

Con l’adrenalina e il sale ancora sulla pelle, i comandanti lericini raccontano le loro avventure. La loro casa è la Mutuo soccorso, che a settembre propone la dodicesima rassegna letteraria.

di Alma Martina PoggiLERICITre uomini, due generazioni, e uno stesso ponte liquido capace di accorciare ogni distanza tra loro. Nel tempo, ma anche nello spazio. E così, da Cozumel, l’isola del Messico, si arriva in un lampo a Singapore; e poi da qui si riparte subito per essere poco dopo a Kuwait city. Perché il mare è costantemente nei ricordi e negli occhi dei naviganti lericini di ieri e di oggi. Si infrange contro l’ampia scogliera della loro memoria e solo i più fortunati possono raccontarne le ‘tempeste’.

Davanti alla sede della Società marittima di mutuo soccorso, in piazza Garibaldi a Lerici, i comandanti Giorgio Pagano, Federico Di Carlo e Leandro Bernardini, secondo ufficiale di macchina, ricordano e raccontano le esperienze di vita vissuta sul mare e lontano da casa. Quelle che più li hanno segnati. "Gli episodi legati alla carriera di comandante di navi passeggeri che mi sono rimasti impressi sono tanti – esordisce Pagano – e sono quelli in cui sono certo ci sia stato l’intervento di ‘qualcuno’ di più grande. Dovete sapere che noi, naviganti lericini, quando andiamo per mare e succede qualcosa di grave, ci affidiamo sempre alle anime dei nostri morti e soprattutto il nostro pensiero va dritto alla Madonna di Maralunga. Ricordo ancora quella volta in cui sono salpato da Cozumel, isola del Messico, al comando della ‘Carnival Celebration’, una nave passeggeri di grandi dimensioni con 3000 persone a bordo di ogni nazionalità. Erano le 3.30 del mattino quando l’ufficiale di guardia Carlo Callone, mio compaesano, mi ha svegliato di soprassalto gridando che c’era un uomo a mare. Sono stati attimi drammatici e concitati, ricordo come fosse ora di essere corso fuori dalla mia cabina ed essermi messo immediatamente al comando della nave. Dopo aver dato ordine agli ufficiali di calarsi con quattro tender per le ricerche ravvicinate in acqua, non avendo ricevuto riscontri ho cominciato a muovere la nave seguendo un tracciato a otto, nella speranza di poter avvistare l’uomo sia a destra che a sinistra. Nel frattempo cercavo anche di calcolare lo scarroccio, cioè la deriva della corrente per capire in quale direzione più probabilmente sarebbe stato trascinato. Nel frattempo mi avevano informato che l’uomo caduto in mare, di origini guatemalteche e di lingua spagnola, era uno dei ’cleaners’ di bordo, gli addetti alle pulizie della cucine che per un gesto inconsulto, forse anche volontario, scavalcando il parapetto della nave era precipitato in mare. La sua fortuna è stata la presenza di un nostromo di origine siciliane che avendo visto la scena ha dato subito l’allarme. La visibilità in quel momento era scarsa, la corrente di circa 6 nodi e dell’uomo nessun avvistamento. Proprio quando la disperazione cominciava a prendere il sopravvento, molti passeggeri che nel frattempo si erano assiepati sul ponte ci hanno comunicato di sentire, sulla parte sinistra, distintamente una voce di donna provenire dai flutti e chiedere aiuto in lingua inglese. A quel punto ho dato ordine ai miei ufficiali sui tender di procedere con l’angolo di rotta a 245 fermando sistematicamente il motore ogni 100 metri. E’ stato così che, alle 5 del mattino, le torce hanno finalmente illuminato il naufrago, tumefatto ma vivo".

Nel vivido ricordo invece del comandante Federico Di Carlo, vicepresidente della Marittima di Lerici, e allora giovane primo ufficiale di soli 43 anni, ad essere in gioco non è stata solo la vita di un singolo uomo ma dell’intero equipaggio. "Stavamo percorrendo, con una grande nave portacontainer americana, la linea del Golfo Persico" racconta il comandante Di Carlo. "Era l’agosto del 1987 e avevamo la consegna di toccare i porti di Dubai, Daman e Kuwait city. Eravamo quasi al termine della nosta missione e si doveva solo rientrare in Italia, partendo dall’ultimo porto toccato. Era notte fonda e stavo dormendo quando sono stato svegliato da una fortissima esplosione che pareva proprio sopra la mia testa; ricordo di essermi detto: ‘Ci siamo, è finita’. Non avevo torto, era stato infatti solo il primo colpo di bazooka sparatoci dai pasdaran che aveva fatto crollare un fumaiolo della nave. Al terzo colpo il nostro anziano comandante, nel correre a lanciare l’sos, cadendo si è rotto il femore. È stato in quel preciso momento che ho capito che non potevo permettermi di aver paura. Da lì in poi ho dovuto infatti assumere il comando, portando la nave via da lì il più velocemente possibile. I pasdaran ci hanno inseguiti per trentacinque, interminabili e dannati minuti, sparandoci contro a intermittenza. È stata un’esperienza terribile e forte insieme, che mi accompagna ogni giorno e che oggi per fortuna posso raccontare".

Fin qui il passato, che ben si coniuga però con il presente e con il futuro della vita di mare dell’associazione, rappresentato da Leandro Bernardini, 29 anni, secondo ufficiale di macchina. "Non ho storie o episodi grandi pari ai loro – si schermisce subito il giovane Leandro – posso però ricordare con emozione i miei inizi e in particolare l’esperienza del primo imbarco. Avevo quasi 25 anni e mi trovavo imbarcato su una grande nave con 5.000 passeggeri a bordo, salpata il 14 febbraio 2020 e arrivata a Mobile in Alabama quasi un mese dopo. Lì ci è stato dato l’ordine di non scendere dalla nave: era infatti scoppiata la pandemia del Covid. Siamo rimasti consegnati a bordo inizialmente per tre settimane, ma l’isolamento a conti fatti si è protratto poi per ben quattro mesi. Nonostante tutto, ritengo di essere stato fortunato perché a bordo non si è verificato alcun caso di contagio e questo naturalmente in qualche modo ha rappresentato per tutti un elemento di protezione. Il mio pensiero più struggente era naturalmente per la mia famiglia, rimasta a casa, e per tutti i miei colleghi che invece di essere imbarcati come me su una nave da crociera con cibo e ampi spazi a disposizione, si trovavano magari su navi mercantili o da carico, con difficoltà di reperimento del cibo, e spazi più angusti". "Quella del navigante – conclude Bernardini – è una vita come dire, doppia: c’è quella che ti ‘costruisci’ in mezzo al mare e quella che riprendi a casa non appena sbarchi e tocchi la terraferma".

Storie ed emozioni forti proprio come forti sono questi uomini capaci di sostenere grandi responsabilità sulle loro spalle legando con coraggio, giorno dopo giorno, la loro vita al mare.