MATTEO ALFIERI
Cronaca

Indagine al Casone di Scarlino: “Oltre 30mila metri cubi di sostanza acida in mare”

La Procura sta indagando su una fuoriuscita dalla vasca di Scarlino Energia. Qui vengono raccolti acqua piovana e reflui industriali della zona. C’è un indagato: l’accusa è smaltimento illecito di rifiuti pericolosi

L’inceneritore di Scarlino, da tempo fermo, al centro di un’inchiesta

L’inceneritore di Scarlino, da tempo fermo, al centro di un’inchiesta

Scarlino, 19 luglio 2025 – Oltre trentamila metri cubi di materiale acido che sarebbero finiti in mare. E’ questa l’ipotesi della Procura di Grosseto che sta indagando, con i carabinieri forestali, su un presunto sversamento dalle vasche di raccolta di proprietà dell’impianto di Scarlino Energia, l’ex inceneritore oggi non più attivo, che si trova nella piana industriale del Casone. Il sostituto procuratore Giampaolo Melchionna ha iscritto nel registro degli indagati una persona. L’accusa è pesante: smaltimento illecito di rifiuti pericolosi.

Tutto è accaduto un anno fa: il procedimento è nato da una denuncia raccolta da Arpat che accertò il fatto dopo aver condotto una serie di indagini. L’impianto di depurazione di Scarlino Energia, ovvero delle vasche di raccolta delle acque meteoriche dilavanti, lavora da sempre con i reflui industriali dell’ex impianto ma non solo, riceve anche le acque di bonifica dei bacini ex Syndial e le acque di miniera di Gavorrano. Si tratta di vasche di decantazione importanti che rendono il materiale raccolto inerte (dopo una serie di processi) prima di essere immesso nel canale di scarico, e poi naturalmente in mare. Durante il sopralluogo emerse che l’azienda (Scarlino Energia) non aveva archiviato i dati di impianto secondo quanto prescritto, ma da alcuni elaborati conservati in formato grafico, emerse un aumento di portata di una vasca (almeno per quindici giorni, dalla fine di luglio ai primi giorni di agosto del 2024) delle acque meteoriche verso l’impianto di trattamento scarichi.

La documentazione sotto indagine

La documentazione tecnica, però, relativa alle linee di gestione delle acque, presentata dall’azienda, non ha chiarito i dubbi degli inquirenti che hanno immediatamente dubitato che potesse esserci qualcosa che non andava. Secondo la Procura infatti per l’aumento di portata improvviso e per certi versi spropositato rispetto agli standard, bisogna far luce se ci possano essere stati punti di immissioni occasionali, che possano aver causato l’evento. Ma nessuna altra informazione è stata fornita dall’azienda, a precisa richiesta. Neppure verbalmente.

Flusso di materiale acido

Quello che è rimasto però, sono i dati certi: si è verificato un evento che ha portato un flusso cospicuo e di natura ’molto acida’, stimato in oltre 30mila metri cubi, in ingresso alla vasca di raccolta delle acque meteoriche, in assenza di pioggia. Flusso, considerato dalla Procura “pericoloso”, che è stato poi trattato all’impianto, in vasche dove però non c’erano le autorizzazioni né i comparti idonei per il trattamento. E che soprattutto il flusso sarebbe stato poi scaricato in mare attraverso il Canale Solmine.

Ulteriori accertamenti

Gli inquirenti sono andati anche oltre: hanno accertato che in caso di eventi eccezionali, la Scarlino Energia può ricevere acque dall’adiacente impianto di un’altra azienda. Ma da quest’ultima non è arrivato alcun chiarimento chiesto in fase di indagine. Verosimilmente, sostiene la Procura, potrebbe essersi verificato un grave guasto ad uno dei serbatoi di stoccaggio o ad altra sezione dell’impianto di questa seconda azienda, con conseguente possibile perdita, di acido solforico all’interno della linea fognaria aziendale. Nei giorni scorsi i carabinieri hanno effettuato un primo sopralluogo alla Scarlino Energia, durante il quale sono stati acquisiti documenti e altro materiale che possano chiarire dove sono finite quelle tonnellate di sostanza acida. E soprattutto perché.

Matteo Alfieri