Firenze, la curiosa coincidenza dell'Arco di Trionfo di piazza Libertà

Ricorrono 164 anni dall'addio dei fiorentini ai Lorena che uscirono da quella porta che fu costruita per dare loro il benvenuto

L'arco di trionfo di piazza Libertà - Credits Cappe ph.

L'arco di trionfo di piazza Libertà - Credits Cappe ph.

Firenze, 1 maggio 2023 - Per quasi mezzo millennio a chi arrivava a Firenze dalla cugina Bologna valicando gli Appennini, passato il Ponte Rosso, appariva in tutta la sua maestosità la porta San Gallo, eretta nel 1285, le cui chiavi sono ancora conservate in Palazzo Vecchio.

Una maestosità che fu obnubilata da un’altra più moderna porta, che oggi si trova al centro di piazza Libertà: l’Arco di trionfo fatto erigere per celebrare l’arrivo da Nord della famiglia Lorena, che con la morte di Gian Gastone nel 1737 e l’arrivo al trono granducale di Francesco I, sostituiva i Medici al governo della Toscana dopo oltre tre secoli di dinastia.

I nuovi granduchi avrebbero tenuto per più di un secolo le redini dello Stato – eccetto la breve ma caratterizzante parentesi napoleonica – fino alla sua dissoluzione nel 1859 per l’annessione al nascente Regno d’Italia (formalmente, fino al ’61, ancora di Sardegna), di cui poco dopo Firenze sarebbe diventata capitale per sei anni, dal 1865 al 1871. L’Arco di trionfo è legato a una curiosa storia tutta fiorentina di cui negli scorsi giorni è ricorso l’anniversario, precisamente il 164esimo.

Saputo dell’arrivo del nuovo granduca, Carlo Ginori, quell’imprenditore fondatore dell’omonima manifattura di Sesto e senatore, decise di far costruire l’opera per ingraziarselo, la cui approvazione arrivò però solo nell’autunno del 1738. C’era pochissimo tempo, perché Francesco Stefano (nome di battesimo del sovrano) sarebbe arrivato ai primi dell’anno nuovo: sembrava un’impresa impossibile. Ma volere è potere, e il marchese Ginori non si scoraggiò.

Chiamò l'architetto Jean Nicolas Jadot, guarda caso proprio dalla Lorena, che a Vienna aveva già lavorato per la nobile famiglia con loro grande apprezzamento, e il 16 dicembre si inaugurarono i lavori. Si lavorò praticamente h24 7/7, con una mole di quattromila operai su quattro turni giornalieri. La stessa cosa insomma che, nel medesimo luogo, sta accadendo oggi con i cantieri della tranvia, verrebbe da ironizzare con il nostro sarcasmo fiorentino. Fatto sta che quando il nuovo granduca arrivò a Firenze il 19 gennaio del 1738, l’arco era finito almeno nelle sue parti essenziali. Francesco I poté fare il suo ingresso trionfale in città attraversandolo insieme alla moglie Maria Teresa d’Austria. Fu il suo unico soggiorno in Toscana prima di essere nominato poi imperatore nel 1745 e dimenticarsi di noi, per la nuova e ben più importante carica. Così i lavori cominciano a rallentare e dilatarsi nel tempo, ché tanto Francesco a Firenze non era intenzionato a tornare. In un altro paio d’anni a ogni modo, nel 1740, la parte esterna dell’arco fu finita e inaugurata. Ma in quella interna si continuò lentamente il lavoro di finitura e decorazione: fu completata solo nel 1759.

Ironia della sorte, esattamente un secolo dopo la data di conclusione della porta, quell’arco che aveva dato il benvenuto ai Lorena avrebbe dato l’addio alla famiglia, che sarebbe ripassata da qui sotto per tornarsene verso Nord: era il 27 aprile 1859.

Ce lo ricorda una lapide apposta nel 1916:

“QVEST'ARCO FV ERETTO IN TEMPI DI TORPIDA SERVITV A CELEBRARE GLI INIZII DEL DOMINIO LORENESE DI CVI IL 27 APRILE 1859 SEGNÒ PER VOLONTÀ DI POPOLO LA FINE. A PVRIFICAZIONE ED AVSPICIO FIRENZE SCRIVE QVI IL NOME DI VITTORIO EMANUELE III RE D'ITALIA.SOLDATO AL FRONTE NELLA GVERRA PER IL DIRITTO NAZIONALE E PER LA CIVILTÀ” Ad andar via fu però un granduca ben più amato: Leopoldo II, affettuosamente chiamato dai fiorentini Canapone per la sua chioma bionda. Con il colpo di Stato organizzato da Cavour che aveva fatto piazzare un’ottantina di carabinieri piemontesi travestiti da civili  in quei giorni di fine aprile, i militari torinesi cominciarono a sobillare la folla contro Leopoldo (in vero con scarso successo), inveendo contro di lui e in favore della guerra contro l’Austria, verso la quale Canapone si era prudentemente dichiarato neutrale. Tuttavia il granduca illuminato, mite di carattere e riluttante alla guerra, decise di abbandonare con la propria carrozza e in dignità la città prima di vedervi arrivare una rivoluzione violenta. E ancora si tramanda di tanti fiorentini che a quell’arco di trionfo che aveva consacrato l’arrivo della nuova dinastia 122 anni prima, levandosi il cappello, salutavano sovrano illuminato e paterno al grido di “Addio babbo Leopoldo!”.

Intorno all’arco, poi, ai tempi di Firenze Capitale, pochi anni dopo, fu costruita nell’ambito dei viali di circonvallazione di Giuseppe Poggi la grande piazza ellittica che oggi è piazza Libertà, con al centro i giardini disegnati dall’architetto Giacomo Roster.

Pur contestato per la scarsa qualità della pietra con cui è stato costruito (croce nei secoli di architetti e restauratori) e del dubbio gusto con cui fu costruito rispetto ad altri monumenti fiorentini, l’Arco è un monumento nazionale: dal 1901 dalla Direzione generale delle Antichità e Belle Arti lo ha infatti inserito nell’elenco del patrimonio artistico nazionale da preservare.

Carlo Casini

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