Georgofili, il tritolo della mafia. "Un ricordo che non si cancella"

La presentazione del volume de La Nazione all’Accademia apre la settimana delle commemorazioni. "Questa sala collassò con l’esplosione, ma Firenze seppe rialzarsi. Memoria da tramandare ai giovani"

Firenze, 24 maggio 2023 – Se fosse una parola, sarebbe ricordo. Ma le sensazioni sono più di una e allora fare una sintesi di quello che è stato per Firenze l’attentato ai Georgofili è probabilmente impossibile. Resta però un monito, rivolto soprattutto ai più giovani: sapere e non dimenticare.

Per questo, nel libro “Georgofili, le voci, i volti, il dolore a trent’anni dalla strage“, che La Nazione regala ai suoi lettori venerdì prossimo in occasione del trentesimo anniversario dell’esplosione dell’autobomba che provocò cinque morti, una quarantina di feriti e danni incalcolabili al patrimonio artistico, abbiamo intrapreso un viaggio, più ampio possibile, prendendo in prestito la memoria di chi c’era e di chi, quella notte a cavallo tra il 26 e il 27 maggio del 1993, non la scorderà mai. Con la presentazione del libro della Nazione, si è aperta la settimana della commemorazioni, che si concluderà sabato con l’arrivo a Firenze del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

E’ l’Accademia dei Georgofili ad ospitare l’evento. Il presidente Massimo Vincenzini ricorda la "tragedia umana e delle cose" che colpì la città e in particolare questa istituzione, all’epoca guidata da Franco Scaramuzzi, "l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto". Un dettaglio, evidenziato da Vincenzini, che aiuta a capire cosa provocò il Fiorino imbottito di tritolo: la sala che ospita la presentazione, alle 1.04 collassò. Assieme all’appartamento, sopra, occupato dai Nencioni, che morirono assieme allo studente Dario Capolicchio, che abitava di fronte.

Fabrizio, il "rosso", come lo chiamavano i vigili urbani del suo reparto a Porta Romana, con la moglie Angela Fiume (che all’Accademia lavorava come custode) e le due bambine, Nadia, nove anni e Caterina, 50 giorni, la più piccola vittima degli attacchi mafiosi, quella sera avevano cenato alla Romola, la frazione di San Casciano di cui erano originari.

Sperammo che fossero rimasti lì a dormire", ha ricordato Eugenio Giani, che ha affidato alle pagine del volume il suo ricordo di fresco assessore alla mobilità, da cui dipendevano anche i vigili urbani. Giani rivela che nella foto dell’epoca, che potrete vedere nella pubblicazione, si stava interrogando, assieme al presidente dell’epoca della Fiorentinagas, su come una fuga di gas avesse potuto far quel danno così incredibile. Ma con il passare delle ore, l’ipotesi iniziale lasciò presto il posto alla cruda realtà. Era stata una bomba. E ben presto, grazie all’incessante lavoro dei magistrati, si seppe anche chi l’aveva messa: cosa nostra.

Quel 1993, come ha ricordato il procuratore aggiunto Luca Tescaroli, impegnato ancora oggi nella ricerca di quelli che Vigna definì “mandanti esterni“ ("Il bicchiere è quasi pieno, ma non ancora completamente pieno", la metafora che ha usato), la mafia voleva convincere lo Stato al passo indietro sul carcere duro e le leggi sui pentiti.

"Il ricatto nei confronti dello Stato è consistito nel condizionare le scelte che erano state effettuate - ha spiegato il magistrato -. Si voleva piegare lo Stato, si voleva incidere sui provvedimenti che erano stati emessi e che incidevano sul regime carcerario". Tescaroli ha ricordato che per le stragi del 1993 sono stati emessi, nei processi di Firenze, 32 condanne. Fondamentale il ruolo dei collaboratori, "sì mafiosi assassini ma indispensabili per accertare la verità".

"Abbiamo avuto la fortuna di avere magistrati eccezionali - ha aggiunto Giani - che di questa strage hanno ricostruito minuziosamente chi l’ha ordinata, come mandante, e chi l’ha eseguita. E se oggi ci sono persone che pagano è grazie questo lavoro dei magistrati che hanno fatto giustizia".

Nardella, studente di liceo nel maggio del 1993, associa il suo personale ricordo ("la mia professoressa di matematica in lacrime, noi ignoravamo quello che fosse successo"), alla resilienza di Firenze. "A cicli di 30 anni, il destino ci ha messo di fronte a sfide tremende: l’alluvione, la strage mafiosa, il covid. Ma Firenze ha sempre dimostrato di essere resiliente. Ma non si è parlato abbastanza di questa strage".

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