
Dall’offerta dei ceri alla solenne liturgia presieduta dall’arcivescovo Gambelli
Firenze, 10 agosto 2025 – Che connessioni ci sono tra noi e la conflittualità fino alle guerre? La festa di San Lorenzo è per l'arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli anche l'occasione di cogliere questi nessi, dopo avere enunciato, nei giorni scorsi, aspetti di una possibile quotidiana "diplomazia della speranza". Ebbene se "nel mondo assistiamo, purtroppo impotenti, a tentativi di imporre le proprie idee con la forza fino a giungere a operazioni militari che si configurano come delle intollerabili forme di pulizia etnica", anche noi, talvolta, nel nostro piccolo ragioniamo in base a schemi simili: “O noi o loro”, con quella ottusa linea di fondo che è rallegrare il proprio ego pensando di correggere gli errori degli altri.
Nell'omelia pronunciata nella mattinata di oggi, 10 agosto, nella basilica di San Lorenzo, Gambelli ha evidenziato la declinazione negativa che questo atteggiamento può avere nella Chiesa e su questo aspetto si è richiamato a un intervento del teologo don Giuliano Zanchi nell'ultima assemblea diocesana: “Non esiste testimone più radioattivo, più respingente, più scostante, più scoraggiante del testimone ombroso, rancoroso, risentito che ce l'ha sempre con qualcuno, che deve sempre trovare la colpa di qualcosa, che ha sempre delle linee di sicurezza da tracciare, e che ha sempre quella pulsione militante di chi deve difendere qualcosa contro qualcuno".
Come uscirne? Intanto essendone consapevoli e abbracciando qualcuno che ci faccia uscire da noi stessi, dal vuoto di cuori che cercano pace ma sono in realtà incapaci di offrirla. Proprio la figura di San Lorenzo indica la strada: la sua attenzione ai poveri "non era semplicemente il frutto di un sentimento filantropico, come possiamo vedere a partire dal suo modo di esprimersi davanti all’imperatore Valeriano, quando gli chiede di consegnargli i tesori della Chiesa. 'Ecco questi sono i tesori della Chiesa, non vengono mai meno anzi crescono', disse mostrando alcuni poveri da lui assistiti. Il verbo crescere è riferito non ai poveri, ma a quel tesoro del cuore che si espande per l’esperienza più profonda della salvezza come conseguenza e frutto del superamento dell’egoismo". Don Milani diceva in proposito: “Se i poveri saranno con te, anche Lui (Dio) sarà con te e se Lui sarà con te di cosa hai paura?”.
Si temono le responsabilità e allora si può cadere nel vuoto del lamento ma “un cuore vuoto si riempie di spazzatura”, come diceva il filosofo Blaise Pascal. È proprio questo senso di vuoto, senza passione per i poveri, che genera "comportamenti violenti e antisociali, di cui sempre più siamo spettatori, anche qui vicino a noi. Atteggiamenti pericolosi, abuso di alcol, reati compiuti da adolescenti, ma anche trasgressioni e danneggiamenti, come le cupole delle chiese e i monumenti scambiati per una palestra di arrampicata, o un’opera d’arte deturpata per farsi una foto". Segni di un malessere, di una mancanza del cuore "sulla quale dovremmo interrogarci, per continuare a ispirare il bene, per esortare ad aspirare a cose grandi e non accontentarsi di falsi surrogati, come ha indicato ai giovani a Roma Papa Leone".