
La ricostruzione digitale del reperto AC12
Firenze, 5 agosto 2025 - Tra le manifestazioni culturali della nostra specie vi sono quelle legate alle modificazioni del corpo, quali tatuaggi, piercing o anche deformazioni del cranio. La documentazione di queste pratiche nelle popolazioni preistoriche è molto rara, ma un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports e guidato da ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, documenta la più antica evidenza di modificazione intenzionale del cranio mai rinvenuta in Europa (“Early European evidence of Artificial Cranial Modification from the Italian Late Upper Palaeolithic Arene Candide Cave https://doi.org/10.1038/s41598-025-13561-8).
Il protagonista della scoperta è un reperto conservato nel Museo di Antropologia ed Etnologia dell’Università di Firenze, noto come Arene Candide 12 (AC12): un cranio di uno degli ultimi cacciatori-raccoglitori preistorici vissuto alla fine dell’Era Glaciale, tra 12.600-12.200 anni fa, e sepolto nella grotta delle Arene Candide in Liguria, uno dei siti archeologici più importanti del Paleolitico Superiore europeo.
"Grazie all’utilizzo di moderne tecniche di antropologia virtuale e ad analisi di morfometria geometrica - spiega Tommaso Mori, assegnista di ricerca Unifi e primo autore dell’articolo - abbiamo dimostrato che la forma allungata del cranio di AC12, già descritta in studi degli anni ’70 e ’80, non era dovuta a malattie né a deformazioni accidentali, ma era il risultato di una pratica culturale intenzionale, ottenuta probabilmente tramite fasciature applicate al cranio dell’individuo fin dai primi mesi di vita”.
La ricerca - condotta insieme a centri di ricerca, istituti ospedalieri e atenei, fra cui quello di Cagliari, e finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e dalla Regione Toscana - anticipa di millenni le evidenze europee attualmente note di deformazione cranica artificiale, documentate soprattutto dal Neolitico e in epoche storiche, e colloca le origini di questa pratica in Europa già alla fine del Paleolitico Superiore, in parallelo con esempi di analoga datazione ritrovati in Asia e in Australia.
“Si tratta di una pratica che richiede tempo e cura - afferma Irene Dori, ricercatrice Unifi e vincitrice del programma di ricerca Young Researchers MSCA - e che viene imposta a un individuo nei primi mesi di vita, rendendola un segno permanente e visibile di identità attribuita sin dalla nascita, e trasmessa di generazione in generazione come valore culturale”. La ricerca apre la strada a nuove prospettive sul significato sociale, identitario e rituale di questa usanza.
“Sebbene in molte società storiche (ad esempio tra Inca, Maya e Chinook), la modifica artificiale del cranio è stata collegata a gerarchie ereditarie, a poteri sacri o soprannaturali, in questo caso - continua Irene Dori - le evidenze archeologiche indicano piuttosto forme di differenziazione legate al sesso, all’età o alle abilità individuali, più che a strutture sociali di potere. Il fatto che la modifica del cranio sia stata osservata solo su un individuo (a fronte di altri cinque crani completi trovati nel sito) suggerisce in ogni caso che si trattasse di un marcatore identitario esclusivo destinato a pochi individui, un mezzo utilizzato per trasmettere valori e identità”. “La nostra ricerca sottolinea l’importanza e la ricchezza delle collezioni antropologiche del Sistema Museale dell’Ateneo fiorentino – conclude Jacopo Moggi Cecchi, docente di Antropologia – che una volta di più si rivelano come una fonte inesauribile di conoscenze sulla biologia e le tradizioni culturali delle popolazioni del passato”.