
Le misure cautelari sono state eseguite dalla Guardia di Finanza di Firenze
Ex collaboratori di giustizia del clan camorristico Sarno, imprenditori e mediatori. Sono i destinatari delle misure cautelari disposte dal gip su richiesta della Dda fiorentina ed eseguite dalla guardia di finanza del capoluogo toscano nell’ambito di un’inchiesta su infiltrazioni della criminalità organizzata in Toscana.
I membri della famiglia Sarno, dopo aver deciso collaborare con la giustizia e aver trovato ’riparo’ tra Prato, Firenze, Napoli, La Spezia e Viterbo, alla scadenza del programma, e dei benefici connessi, hanno cercato di riorganizzarsi. Insinuandosi nel business dei rifiuti e orchestrando un giro di fatture per operazioni inesistenti, ma anche con una serie di accordi con imprenditori cinesi per procacciare manodopera straniera a basso costo.
L’inchiesta della Dda fiorentina ha sventato i propositi di riscossa dei vertici del clan del quartiere napoletano di Ponticelli, finiti in carcere con accuse come associazione a delinquere finalizzata a reati fiscali, estorsione aggravata dal metodo mafioso e per la violazione delle norme sull’immigrazione. Dodici in tutto le misure cautelari, cinque in carcere, cinque ai domiciliari e due interdizioni (a carico di due prestanome). La misura ha colpito tra gli altri i tre fratelli a capo del clan – Vincenzo, Pasquale e Ciro Sarno - il figlio di uno dei tre, Antonio, e un cugino, Giuseppe Sarno, di età compresa tra i 46 e i 70 anni.
Vincenzo Sarno, in particolare, era stato arrestato nei mesi scorsi con l’accusa di aver commissionato l’omicidio (poi fallito) di un collaboratore di giustizia e di essere il mandante di un omicidio avvenuto trenta anni fa, tutto mentre ancora beneficiava delle tutele per i pentiti. Dalle indagini era emerso il desiderio di vendetta maturato per gli omicidi del fratello e del cognato, ma anche il piano di tornare in grande stile a gestire le attività criminali a Ponticelli.
Le indagini della guardia di finanza, dirette dal pm anti mafia Leopoldo De Gregorio, hanno dunque impedito al gruppo camorristico – fino a una dozzina anni fa tra i più influenti a Napoli e responsabile di svariati fatti di sangue - di ricostituirsi e replicare gli schemi di un tempo. Secondo la ricostruzione, i Sarno avevano avvicinato un imprenditore campano con base a Prato, persuadendolo a collaborare nel business dei rifiuti tessili e offrendosi per organizzare i trasporti. In breve, però, il rapporto si sarebbe trasformato in una autentica estorsione, con l’imprenditore che avrebbe versato somme di denaro (fino a 4 mila euro al mese) senza ottenere alcun servizio, spaventato dal “prestigio” criminale del clan. Nell’illustrare i risultati dell’inchiesta il procuratore Filippo Spiezia ha sottolineato lo spessore criminale degli arrestati, soffermandosi inoltre sul nuovo volto delle organizzazioni mafiose, che fuori dal contesto di origine "offrono una molteplicità di servizi illeciti a imprenditori insospettabili, servizi che si integrano nei settori sani dell’economia". L’inchiesta, infine, ha portato anche al sequestro di beni (tra cui tre appartamenti a Prato) per un milione di euro.
Pietro Mecarozzi