
Il 23enne condannato a due anni per l’attacco all’edificio statunitense rimase segnato anche dallo spettacolo teatrale di un ex Cinque Stelle su Assange.
di Pietro Mecarozzi
"Non c’era finalità terroristica", ma si è trattato piuttosto di "una contestazione politica violenta che concretamente non ha creato danno". Lo scrive la giudice del tribunale di Firenze, Angela Fantechi, nelle motivazioni della sentenza di condanna di Moh’d Dani Hakam Taleb, il 23enne che nel febbraio 2024 ha lanciato due molotov contro il consolato Usa di Firenze. Il giovane – assistito dall’avvocato Samuele Zucchini – è stato condannato, con rito abbreviato e pena sospesa, per fabbricazione e porto in luogo pubblico di due bottiglie incendiarie ed è stato invece assolto, con formula piena, dall’accusa più grave di atto di terrorismo con ordigni esplosivi aggravato dall’aver agito di notte esponendo a pericolo la pubblica incolumità.
Nella ricostruzione della vicenda, la condotta di Taleb viene considerata "non idonea a cagionare un pericolo concreto per la pubblica incolumità". Il gesto è infatti stato compiuto in piena notte e in assenza di passante, non creando "alcun danno neppure potenziale". Le bottiglie incendiarie finirono a terra, sulla strada, senza raggiungere né danneggiare il palazzo sede del consolato, e senza causare feriti. Grazie alle telecamere di videosorveglianza della zona e alle tracce ‘digitali’ lasciate durante il pernottamento in un b&b, il giovane fu individuato nel giro di pochi giorni dopo le rivendicazioni inviate a due testate giornalistiche e a una trasmissione televisiva.
Cosa lo ha fatto scattare? Le immagine cruenti del conflitto a Gaza e le sofferenze dei civili palestinesi. Ma anche, secondo quanto raccontato dal giovane durante il processo, lo spettacolo teatrale (andato in scena la sera prima dell’agguato al consolato) dell’ex Cinque stelle Alessandro Di Battista, che in quei giorni si esibiva al teatro Puccini con un monologo sul caso del fondatore di Julian Assange. L’esibizione avrebbe fatto montare in Taleb rabbia e risentimento nei confronti degli Stati Uniti. Quindi, ha pensato "di fare quel gesto come forma di protesta per attirare l’attenzione su quanto stava accendendo in Medio oriente", si legge.
La necessità della divulgazione del video di rivendicazione - firmato “The whole world is Hamas” -, per la giudice deriva dalla oggettiva consapevolezza del giovane "che il fatto in sé non avrebbe fatto scalpore". Inoltre, si legge nelle motivazione, il filmato è stato girato nella camera del b&b affittata da Taleb (e usata come base ‘logistica’) prima di mettere in opera il piano.
Non regge neanche l’ipotesi investigativa secondo la cui il 23enne giordano/palestinese fosse all’inizio di un percorso di radicalizzazione. I contatti sospetti avuti nel periodo precedente con un’associazione filo palestinese si sono rivelati di natura solidale.
Il giovane avrebbe infatti versato del denaro a un ente che aiuta la popolazione di Gaza, il cui proprietario - incensurato e senza legami con cellule estremiste - è fratello di un soggetto attenzionato dalla digos. Un elemento che ha fatto vibrare le antenne degli inquirenti, ma che tuttavia, per la giudice, non è "idoneo a sgombrare il ragionevole dubbio circa la sussistenza del delitto di terrorismo".