Luca Scarlini
Un’esposizione in corso a Palazzo Pitti, Moda in luce 1925-1955. Alle origini del Made in Italy, a cura di Fabiana Giacomotti (fino al prossimo 28 settembre), presenta un nucleo di abiti di un’epoca in cui il fashion italiano cercava faticosamente l’emancipazione dalla dipendenza dai modelli francesi, che si compì proprio alla Sala Bianca nel 1951 con la prima strepitosa sfilata ordita da Giovanni Battista Giorgini.
Questo processo è visto attraverso i rari materiali dell’Istituto Luce, che documentano le vicende spesso paradossali nel mondo degli abiti dell’autarchia e del tentativo fortemente voluto dallo stesso Mussolini di un Centro Nazionale della Moda, che fu collocato a Torino. Tra i materiali documentari in una teca colpisce il piccolo catalogo di una esposizione di straordinario interesse che si tenne nel Salone dei Duecento a Palazzo Vecchio, inaugurata il 7 maggio 1936.
Il filo che esplorava la moda del passato nell’arte italiana per trovare una emancipazione dai costosissimi cartamodelli d’oltralpe era stata inaugurata all’inizio del secolo a Milano dalla grande Rosa Genoni che nelle attività della Società Umanitaria, geniale invenzione che univa arte, lavoro e politico, aveva mostrato al mondo che l’invenzione di nuove forme si poteva trovare nello studio di Botticelli e Pisanello.
A Firenze andò in scena, invece, una mostra che fece epoca: Mode di altri tempi. L’esposizione che si inaugurò con tutti i crismi della mondanità, era ordinata da dame aristocratiche e borghesi (tra l’altro Flavia Farina Cini, la marchesa Castelnuovo e Maria Luisa Carpi) alla presenza di Maria di Savoia, seguiva quella dell’anno prima delle tavole imbandite ed era affidata alle cure di una delle maggiori presenze della scenografia e del costume del Novecento: la fiorentina Maria De Matteis.
Enfant prodige come illustratore sulle pagine del Giornalino della Domenica, fu al fianco dei maggiori registi del Novecento, firmando il dècor e i costumi de La carrozza d’oro di Jean Renoir e di Otello di Orson Welles, entrambi del 1952, in cui il lavoro sugli abiti di Anna Magnani e di Welles teneva conto di ampi studi sulla moda storica.
In questo seguiva la grande lezione di Gino Carlo Sensani, maestro della filologia del costume, di cui tenne conto anche Luchino Visconti (con cui De Matteis firmò gli strepitosi costumi di Troilo e Cressida nel 1949, con le scene imponenti di Franco Zeffirelli).
Nella ricerca della moda italiana spesso Firenze è stata di grande rilievo nella definizione dell’eredità della moda del passato nel presente. Un pungente articolo di Margherita Cattaneo su La Nazione uscito il 9 maggio 1936, puntualizzava l’impatto eccentrico di una attività all’epoca ignota, quella della ricerca degli abiti vintage. Come racconta memorabilmente Curzio Malaparte in Maledetti toscani, i vestiti del passato erano considerati soprattutto come materiale per fare stracci e dare inizio a un clamoroso processo di riciclo.
La giornalista dice che a quella sfilata storica si associa un: "odorino di canfora, di tarli di stantio". Alle grucce nei loro armadi erano "vuoti e consunti, come fiori seccati in un messale. Ora sono rinvenuti, li hanno imbottiti di carte".
Da questo impegno clamoroso di Maria De Matteis nascevano le identità assurde e vagamente inquietanti, da quadro di De Chirico, di personaggi che guardavano gli spettatori dall’alto in basso, offrendo ispirazione a numerosi creatori di moda del presente convenuti insieme alla mondanità, alla ricerca di una invenzione originale che permettesse loro di trovare le forme giuste per il tempo moderno, mentre sempre più palpabile era la minaccia della guerra.