Maro
Vichi
Ma Petardo aveva qualcosa di geniale, la libertà dell’infanzia, mescolata a una cupezza ancestrale… Faceva quadri e disegni di una potenza inarrivabile, che ti afferravano alla gola, che ti smuovevano dentro cose che non sapevi di avere… Ma la sua genialità restava in fondo ai cassetti o attaccata alle pareti di qualche amico… Di se stesso diceva, tra un bicchiere a l’altro: "Non mi dovete rompere i coglioni, io son bustrofedico, chi mi sta troppo vicino finisce per terra…" E adesso scoprivo che l’idea di quell’opera geniale non era di Cancalloni ma di Petardo… Dio mio, Dio mio… Povero Petardo, sempre a corto di soldi, con lo sguardo ricolmo di dolcezza violentata dalla vita, morto accoltellato in una rissa come i pittori sciagurati e irascibili dei secoli passati… "Ma sei sicuro?" chiesi ancora, fissando Alberto. Lui si alzò senza una parola, uscì dalla sala da pranzo e tornò poco dopo con una grande busta di carta, che appoggiò sul tavolo. Si mise a tirare fuori dei vecchi disegni, fino a che non trovò quello che voleva farmi vedere. "Ecco qua l’opera di Cancalloni che ti piace tanto" disse, mettendomi davanti uno schizzo: la Madonna e Gesù Cristo nella posizione dei ‘Giocatori di carte’ di Cézanne, identico alla stampa 3D dell’opera di Cancalloni, e sotto c’era scritto: ‘Giochiamo con la pietà.’ "Non ci posso credere" balbettai. "Perlomeno ha cambiato il titolo" disse Alberto. "Porca miseria… Questa è una delle opere che ha contribuito a far diventare famoso quel fanfarone" sussurrai, indignato. "Esatto". "Dobbiamo farlo sapere a tutti" dissi. "A cosa può servire?" "A far sapere che esistono i ladri di idee… e che uno di loro è Cancalloni…" "Sarebbe un errore, e andrebbe a sua vantaggio… Servirebbe soltanto a farlo diventare ancora più famoso e dunque più ricco". "Ma porca puttana…" "In questo mondo, caro mio, la fama guida il mercato. E la dea Giustizia a volte si addormenta." "Forse però una cosa la posso fare…" sussurrai, tra me e me. "Non metterti nei guai." "No no… Faccio una foto del disegno di Petardo, per ricordo." "Prego…" disse Alberto, triste quanto me.
L’occasione si presentò qualche settimana dopo, all’inaugurazione di una mostra di porcherie di Cancalloni. Ci andai all’apertura, fui uno dei primi ad arrivare. A questi vernissage di famosi pagliacci non è elegante arrivare puntuali… ma io non volevo essere elegante. Aspettando di vedere arrivare il grande Cancalloni mi misi a guardare quelle "cose" senza senso e senza forza, realizzate da chissà chi, una più insulsa dell’altra. Non erano orribili, quello sarebbe stato già qualcosa, erano insignificanti, potevi guardarle per un sacco di tempo e restavi quello che eri. Dio mio, era tutto così insensato. Nemmeno Cancalloni era puntuale, oh no, sarebbe stato sconveniente e provinciale. Ma la galleria si andava riempiendo, e tutti ammiravano quell’ammasso di ciarpame come se avessero davanti la Visitazione di Pontormo o la deposizione di Rosso Fiorentino… Quando scavalchi un certo livello di fama, il giudizio delle persone va a farsi benedire… Solo in pochi restano lucidi e capaci di capire cosa hanno davanti, senza lasciarsi influenzare dall’intoccabilità dell’artista di grande fama… La maggior parte non ha le palle di andare in senso contrario al gregge che bela e avanza senza riflettere lungo la comoda via dell’ossequio… Mi sentivo tristissimo, e pensavo a Petardo, alla sua sofferenza congenita che non gli aveva lasciato scampo, alla sua incapacità di far valere il suo talento… nemmeno in termini economici, visto che non guadagnava quasi niente con i suoi lavori. Il buffone lo vidi apparire dopo più di un’ora, e venne subito circondato di galline. Ma non avevo fretta. Aspettai con pazienza che il "maestro" restasse da solo, e gli piombai addosso. "Permette che le stringa la mano?" dissi. "Prego…" disse lui, ma invece di dargli la mano gli misi davanti agli occhi il cellulare con la foto del disegno di Petardo. "Sei un gran figlio di puttana…" mormorai sorridendo, poi girai i tacchi me ne andai. Prima di uscire mi voltai a guardarlo. Lui stava tranquillamente guardando una delle sue opere, e accanto aveva una bella signora che sembrava adorarlo e non faceva che ridere e toccarlo, forse per far vedere a tutti quanta confidenza avesse con il grande maestro. Rimasi sulla soglia, e finalmente Cancalloni voltò il capo cercandomi in mezzo alla gente. Mi lanciò un’occhiata carica di sufficienza ma anche di preoccupazione, e mi accontentai di questo: adesso lui sapeva che almeno una persona al mondo era a conoscenza del suo ignobile furto. Una piccola coltellata, ma era andata a segno. Me ne andai, e vedere il cielo mi fece bene. Le mie labbra si mossero da sole: "Ciao Petardo, l’ho fatto per te".
2-fine