EMANUELE BALDI
Cronaca

Aiuti ai deboli, la caccia più bella: "Mai avuto paura nel sabbione. Firenze anni ’80? Era pazzesca"

Il più grande atleta del Calcio storico, leader dei Verdi per quattro decenni, si racconta "Botte tante ma sempre con lealtà, oggi sembra quasi uno sport. La mia musica? Sinatra" .

Il più grande atleta del Calcio storico, leader dei Verdi per quattro decenni, si racconta "Botte tante ma sempre con lealtà, oggi sembra quasi uno sport. La mia musica? Sinatra" .

Il più grande atleta del Calcio storico, leader dei Verdi per quattro decenni, si racconta "Botte tante ma sempre con lealtà, oggi sembra quasi uno sport. La mia musica? Sinatra" .

Scomodiamo subito Francesco De Gregori perché quella sua grande poesia cantata nei ’Muscoli del Capitano’ che scivola via così "la nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia" ha la forza evocativa giusta per fotografare in un istante secco Gianluca Lapi – ’ILlapi’ per tutti – eroe moderno del gioco più antico che c’è. Il ’gioco’ di Firenze per antonomasia, quel Calcio Storico che è paradigma e sintesi della città stessa fin dalla sua partita più celebre, datata 17 febbraio 1530, quando i fiorentini, stretti sotto l’assedio dalle truppe imperiali di Carlo V, si misero a giocare in Santa Croce. Sberleffo e noncuranza di Davide che irride Golia.

Martedì scorso, nel giorno del patrono, l’ultima sfida in ordine cronologico con i Rossi di Santa Maria Novella che hanno travolto i Verdi di San Giovanni, il Colore dell’anima del Nostro. Lapi, mai come quest’anno avevamo assistito a un’overdose di cacce. Addirittura 22 nella finalissima. "Con le nuove regole molte cose sono cambiate. Tutti stanno a terra e se uno svelto trova il corridoio giusto va a fare caccia facilmente".

Molti dicono che lo spettacolo non c’è più. Il suo Calcio era diverso? "Sì, molto più difficile e però bello da vedersi con delle grandi triangolazioni dai calcianti che, ai tempi, erano in partita tutti in piedi. Una volta, per farle capire quanto erano tirate le sfide, tra gli Azzurri e noi finì mezza caccia a zero... Ma ormai cambia tutto con il tempo. Un po’ come nel calcio dove oggi il portiere tocca più palloni del numero 10...".

Le vostre erano anche sfide più toste. "Magari c’erano molte più botte di oggi, ma una cosa ci tengo a dirla: c’è sempre stato rispetto, c’erano dei valori veri".

E oggi? "Ci sono ancora. Solo che somiglia quasi a un normale sport".

Ha mai avuto paura? "Nel sabbione? Mai. Fuori, nella vita, può capitare".

La sua prima partita? "Nel 1980, a 18 anni. Pensi che dovevo giocare nei Bianchi solo che quando tornai dai campionati italiani di pesi medi la squadra era già fatta e allora con altri ragazzi si disse: ’Perché non andiamo a allenarci con i Verdi?’. E così andò".

Era un ragazzino. "Sì ma al primo allenamento partii subito a bomba. Caccia, caccia, caccia... ’O questo da dove è saltato fuori?’ dissero".

E’ stato il più grande di tutti? "Dai, non sta a me dirlo".

Allora parliamo di altri grandi. "Gabriele (lo Zena ndr) era perfetto nel preparare le partite. Poi come si fa a non citare Raoul Bellucci, il Bambino, dei Bianchi. O più di recente Marino Vieri".

Ha amici veri nell’ambiente? "Tanti. D’altronde dopo 40 anni. Ho giocato con alcuni ragazzi e poi anche con i loro figli".

E’ vero che le donne impazzivano per lei? "Sa cosa dicevo sempre? Ho conquistato il 70% delle ragazze perché non mi ero accorto dell’altro 30% (ride ndr). A parte le battute, forse l’immagine del guerriero affascinava ma se tante mi avessero conosciuto meglio avrebbero scoperto che nella vita sono sempre stato un tranquillone, quasi un pantofolaio".

Geografia del tifo. Tolti i Bianchi che ancora si identificano con Santo Spirito, gli altri Colori sono sparpagliati. "Sì ed è normale perché i quartieri storici non esistono più. Nel Dopoguerra l’Isolotto non c’era e ora è diventata la terra dei Rossi. I Bianchi sono i più numerosi di tutti perché sono in tutto l’Oltrarno, a Porta Romana e anche a Scandicci".

Il quartier generale dei Verdi? "Tanti tifosi a Gavinana e a Coverciano. Poi quando ci allenevano nella zona dello stadio a cinquecento metri dagli Azzurri, prima che loro andassero al Ponte di Mezzo, Campo di Marte si divideva tra noi e loro. Così come le minime di Rovezzano".

Si dice che lei abbia un cuore d’oro. "Se posso aiutare gli altri lo faccio volentieri. Durante il Covid la dispensa del mio ristorante era rimasta piena e allora, anche con l’aiuto dei Bianchi, si smistarono un po’ di cose come la pasta e il pane. Chi magari era in sedia a rotelle viveva momenti molto difficili".

Poi l’alluvione di Campi Bisenzio. "Diciamo che lì sono stato un eroe per caso. Andai a cercare un amico perché temevo per lui e mi trovai in mezzo all’acqua. Letteralmente. Mancava tutto... luce, cibo. Mi attrezzai, mi misi la muta da sub e iniziai a dar mano a chi potevo".

Lei è stato anche un grande portiere. Le giovanili del Napoli, la Pistoiese. Oggi? "L’ultimo anno l’ho fatto al San Donnino in Terza categoria. E ora... mah. Sa, il problema non è tanto il volare quanto ormai, l’atterrare...".

Com’era la sua Firenze in gioventù? "Negli anni ’80 qui c’era tutto. Benessere, autenticità, artigiani veri. Firenze era pazzesca".

Il suo cantante preferito? "Io sono della vecchia scuola. Frank Sinatra, Dean Martin, Califano. Ma ricordo anche che nel 1984 prima di una partita ascoltai ’Gli occhi della tigre’, colonna sonora di Rocky. Che carica".