
Un reparto di terapia intensiva
Firenze, 6 settembre 2025 – Lì, ci sono le vite sospese. Quelle che hanno a che fare con la morte. Nella terapia intensiva dell’ospedale di Careggi la temperatura è molto bassa. La luce del giorno non entra mai. Che sia notte o mattina, medici, infermieri, oss e addetti alle pulizie lavorano sempre con la stessa ‘frenetica calma’.
Chi entra qui da ricoverato, spesso, non sa di esserci. Ogni paziente è monitorato da decine di macchinari. La vita diventa artificiale. Quei corpi stesi l’uno accanto all’altro, alimentati solo da macchinari, finiscono per somigliarsi tutti. Spesso, soprattutto durante le prime fasi del ricovero, il paziente si trova in stato di incoscienza o viene sedato per affrontare al meglio le procedure salvavita a cui deve essere sottoposto.
La rianimazione ha sempre rappresentato una corsa contro il tempo. Nel silenzio, a parlare sono i parametri vitali che colorano i monitor. Numeri che raccontano storie complesse: storie di corpi che resistono, che cedono, che rispondono o non rispondono più. Storie di incidenti stradali o sul lavoro, ictus, emorragie cerebrali. In terapia intensiva a Careggi è stata ricoverata a lungo anche Valeria Valverde, studentessa ventenne del Costa Rica caduta dalla bicicletta nel luglio 2022 e rimasta a lungo ‘sospesa’ in un letto dell’intensiva fiorentina. In seguito al suo risveglio, che la Chiesa ha giudicato “miracoloso”, Carlo Acutis, il giovane 15enne morto dopo una leucemia fulminante, sarà proclamato santo.
La madre di Valeria, mentre la figlia era ricoverata, si recò ad Assisi per pregare sulla tomba del giovane. Poche ore dopo la ragazza si risvegliò e uscì dal limbo in cui stanno i sospesi delle intensive dove medici, familiari e pazienti hanno imparato a convivere più a lungo con la fragilità. A volte, questo consente al paziente di guadagnare tempo. Altre volte, solo di accompagnarlo con dignità. Non tutti ce la fanno. Persino il dolore si somiglia, lì dentro. E' lo stesso per tutti. Anche la speranza. La si riconosce da un battito che resiste, da un numero che non scende, da una palpebra che tenta di aprirsi, da una mano che stringe. I medici sanno leggere il silenzio dei pazienti. La terapia intensiva è il luogo dove l’umanità si misura a bassa voce. Dove nessuno è solo, anche quando lo è. Dove tutto si riduce all’essenziale : un respiro. Un gesto. Una possibilità. E da lì, qualche volta, si torna indietro. Altre no. Ma per i medici che sono lì, vale sempre la pena provarci.