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Cronaca

Vin brulé e riso alla corte del re. Vittorio Emanuele II e il popcorn

Camillo Cavour sostenne la trasformazione agricola: dopo un viaggio in Chianti volle creare il Barolo

Ciro Vestita

Ma davvero Re Vittorio Emanuele II era figlio di Carlo Alberto? La questione, più da romanzo che da archivio, ha sempre incuriosito storici e curiosi.

A ben guardare i due uomini, il dubbio sorge spontaneo. Carlo Alberto era altissimo, magro, riservato, elegante nei modi e nel pensiero. Vittorio, invece, era basso, tozzo, grande cacciatore, grande donnaiolo, con una risata fragorosa e un carattere ben poco aristocratico. Due figure così diverse da alimentare la leggenda: uno scambio di culla.

Si racconta che il 14 marzo 1820, nella clinica dove partorì la Regina Maria Teresa, scoppiò un incendio. Nel caos, un’infermiera avrebbe consegnato per errore alla sovrana un bambino vispo e robusto: il figlio del macellaio del paese. E quel bimbo, così si dice, sarebbe poi salito al trono, diventando il primo re d’Italia.

Leggenda o no, Vittorio Emanuele II dimostrò tempra, coraggio e visione. Non fu solo il re del Risorgimento armato, sempre in prima linea durante le guerre d’indipendenza, ma anche un promotore tenace di innovazioni concrete, a partire dall’agricoltura.

Con Camillo Benso conte di Cavour, suo alleato e regista dell’Italia unita, sostenne la trasformazione agricola del Piemonte. A partire dal riso vercellese, che sotto il suo regno conobbe un’espansione senza precedenti: vialone nano, acquerello, carnaroli, varietà oggi celebri nacquero in quel contesto.

E non fu solo coltura. In un momento cruciale della storia, il riso divenne anche un’arma strategica. Durante la seconda guerra d’Indipendenza, Cavour si alleò con Napoleone III contro l’Austria. Il maresciallo Radetzky, per vendetta, cercò di invadere la piana di Vercelli. Ma trovò le risaie allagate.

Fu un’idea geniale: Cavour ordinò di bloccare i canali e creare un’alluvione controllata. Gli austriaci affondarono nel fango. L’ingegnere che eseguì l’ordine? Si chiamava Carlo Noè: destino nel nome.

Oggi il riso è ancora una risorsa preziosa per la salute. Quello bianco è l’ideale per coliti e gastriti: tre giorni a base di solo riso aiutano a calmare l’intestino, combattere le diarree nei bambini e ridurre gonfiori addominali. È uno dei rimedi naturali più antichi per “mettere a riposo” l’intestino.

All’opposto, il riso integrale, ricco di fibre, è perfetto contro la stitichezza. Un consumo regolare, accompagnato da frutta lassativa come kiwi e meloni, aiuta a ristabilire un transito intestinale regolare in modo naturale.

Ma le novità del tempo non finirono nelle risaie. Il Piemonte, anche grazie all’illuminazione di Cavour, divenne terra di grandi vini. Dopo un viaggio nel Chianti, il conte volle creare un vino che reggesse il confronto con i toscani. Così nacque il Barolo, potente e profumato.

Un farmacista della sua cerchia creò anche una bevanda terapeutica: il vin brulé, ottenuto con Barolo, cannella e chiodi di garofano. Ancora oggi lo beviamo nelle sere fredde d’inverno, quando il virus è dietro l’angolo.

Anche la Lombardia agricola fu toccata da questo vento di innovazione. In visita nel milanese, Re Vittorio scoprì un cereale allora sconosciuto in Italia: il mais, chiamato “granturco” perché tutto ciò che veniva da fuori — tacchino compreso — era detto “turco”.

Il mais si diffuse rapidamente: alte rese, pochi problemi in coltivazione. E anche un potenziale terapeutico. Nel 1829, in America, durante una crisi finanziaria, un certo dottor Kellog, per mancanza di carne nel suo sanatorio, sostituì le proteine animali con farinate di mais. Il risultato fu ottimo: energia, digeribilità, gusto.

Ancora oggi il mais è protagonista delle colazioni per bambini, delle gallette, delle farine… e dei popcorn, che si ottengono saltando i chicchi in padella con poco olio. Snack semplice, nutriente, felice.

Proprio come quella strana storia di re e risotti, dove la leggenda si mescola alla terra, alla guerra, e a una cucina che — in fondo — ha sempre fatto l’Italia.