
L’Ordine scende in campo e chiede la revisione del piano. "È necessario aprire un confronto ampio". Per i professionisti il "’terzo luogo’ rischia di restare un’isola slegata senza relazioni con il contesto".
"Trasformazioni urbane di questa portata non possono prescindere da una visione complessiva e da un metodo condiviso". È con queste parole che il consiglio dell’Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Arezzo commenta il progetto "Terzo luogo" presentato il 23 giugno dall’amministrazione comunale per l’area ex scalo merci. Il progetto, che prevede la realizzazione di una nuova biblioteca pubblica, ha suscitato nell’Ordine dei professionisti riflessioni articolate, che non si limitano a criticare, ma pongono l’accento sulla necessità di maggiore apertura, confronto e coerenza urbanistica.
"Non vogliamo entrare nel merito del progetto architettonico in sé – afferma il Consiglio – che è stato redatto con efficacia e passione dai colleghi incaricati. Ma è nostro dovere sottolineare come manchi una visione urbana d’insieme: ciò che si presenta come un ‘terzo luogo’ rischia di restare un’isola slegata, un elemento inserito a forza, senza relazioni con il contesto".
L’Ordine non contesta la funzione di nuova biblioteca – pur interrogandosi sulla scelta di rimuovere un presidio pubblico dal centro cittadino – ma denuncia la mancanza di una strategia urbanistica capace di rileggere il tessuto esistente e intervenire su di esso in modo coerente. "Progettare uno spazio pubblico significa ridefinire pezzi di città – si legge nella nota – e ciò può avvenire solo se prima si disegna la maglia urbana, la gerarchia degli spazi e dei percorsi. Lo sapevano i romani, lo hanno applicato i piani urbanistici di Piccinato, Venturini e Gregotti, che immaginavano il prolungamento di Viale Pier della Francesca come asse naturale per ricucire i quartieri".
Per gli architetti, ciò che manca nel progetto del "Terzo luogo" è proprio la visione storica e urbanistica, lo studio delle relazioni tra i luoghi, l’analisi di come generazioni di pianificatori hanno cercato di risolvere l’annosa cesura fra il centro e la periferia. "Oggi si è smesso di progettare – attacca il presidente dell’Ordine Valter Bertini – e la pianificazione ha preso il posto dell’urbanistica. Ma un edificio, per quanto ben disegnato, se non è parte di un sistema, resta un intervento solitario. L’architettura ha bisogno di strade, di gerarchie, di piazze e relazioni". Oltre al merito, l’ordine interviene anche sul metodo, giudicato poco inclusivo e poco trasparente.
"Scelte pubbliche di tale rilevanza – si legge ancora nel documento degli architetti – non possono essere affidate a processi ristretti. È necessario aprire un confronto ampio, avviare una riflessione collettiva, magari attraverso un documento preliminare condiviso, da cui derivare poi i progetti specifici".
La proposta dell’Ordine degli architetti è chiara: aprire un concorso di progettazione, strumento che garantisce qualità, trasparenza, pluralità di idee. "Lo fecero a Firenze per la cupola di Santa Maria del Fiore, perché non farlo ad Arezzo, per trasformare un non luogo in una parte viva della città?", si sottolinea nella nota.
"L’Ordine degli architetti – conclude il documento – è disponibile a contribuire con competenza e visione. Ma occorre cambiare metodo, restituire centralità al progetto urbano, e fare della qualità dello spazio pubblico una priorità vera, non solo dichiarata".