LILIANA ELISABETTA FORNASARI
Cronaca

Marino Marini, uno sguardo sul Novecento. I suoi cavalieri alla conquista delle emozioni

La doppia esposizione tra Fortezza e Galleria di San Francesco fino al 2 novembre, fa comprendere la rivoluzione artistica del maestro

La doppia esposizione tra Fortezza e Galleria di San Francesco fino al 2 novembre, fa comprendere la rivoluzione artistica del maestro

La doppia esposizione tra Fortezza e Galleria di San Francesco fino al 2 novembre, fa comprendere la rivoluzione artistica del maestro

Fornasari

La grande mostra tenuta a Roma, presso Palazzo Venezia, nel 1966, ha sancito la fama internazionale di Marino Marini, che dal secondo dopoguerra non ha conosciuto flessioni, facendo sì che le sue opere giungessero nei più famosi musei di Europa e degli Stati Uniti. La figura di Marino Marini, troppo spesso ridotta all’immagine dello scultore dei cavallini e delle Pomone, è molto complessa. L’artista non è fuori dal tempo e tanto meno disgiunto dai suoi contemporanei, considerando che ha vissuto epoche significative del XX secolo, determinando anche spaccature e proponendo continue sperimentazioni. Tali considerazioni sono fondamentali per comprendere la mostra antologica aretina "Marino Marini. In dialogo con l’uomo", che si sviluppa in due sedi, la Galleria Comunale di Arte Moderna e Contemporanea e la Fortezza Medicea, creando un viaggio nell’opera dell’artista attraverso prestiti provenienti dal Museo Marino Marini di Firenze, nato nel 1980, pochi mesi dopo la morte dell’artista, e dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia, istituita nel 1983, anno della retrospettiva realizzata a Palazzo Grassi. Organizzata dal Comune di Arezzo e dalla Fondazione Guido d’Arezzo con La Nazione media partner, la mostra aretina è stata progettata dalle Nuove Stanze e da Magonza con la curatela di Alberto Fiz e di Moira Chiavarini e con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi.

La doppia proposta espositiva, aperta fino al 2 novembre 2025, fa comprendere come il maestro abbia portato avanti una rivoluzione. Come indicato da Fiz, quest’ultima si sviluppa attraverso la consapevolezza della storia dell’uomo, cogliendo e rappresentando il tempo interiore. Ha bene spiegato Moira Chiavarini l’organizzazione espositiva. Presso la Galleria Comunale dipinti e sculture, bronzi, legni, gessi, terrecotte, dialogano tra loro, analizzando serie importanti, dalle figure ispirate all’antico, alle Pomone, allegorie della fertilità, ai lavori sul tema del teatro, ai Cavalli e Cavalieri sino ai Guerrieri e ai Gridi, opere degli anni Cinquanta, e alla composizioni astratte. Marini scrive di cominciare sempre dipingendo e non si può isolare la sua scultura dal colore, che "abbiamo dentro". Anche nei dipinti, partendo dagli anni giovanili, la forma mantiene la sua solidità.

Il tema ancestrale della fertilità si lega alla rappresentazione plastica. In questa sede l’esposizione prende avvio da opere giovanili, tra cui le Vergini del 1916, tavola realizzata all’età di quindici anni, e la Zuffa dei cavalieri del 1927, disegno che evoca le scene di battaglia affrescate da Piero della Francesca. Come notato da Michele Amedei in un saggio, già pubblicato dal Cima e presente nel catalogo della mostra edito da Magonza, di prossima uscita, il disegno è contemporaneo alla monografia pubblicata da Roberto Longhi.

Anche l’interesse per gli Etruschi è un legame concettuale con Arezzo. Gli Etruschi come "umanità vergine e remota" è il concetto che segna il ritorno all’arcaico. Nato a Pistoia il 27 febbraio del 1901, Marini è stato una giovane promessa della scultura negli anni Trenta quando il regime portava avanti attraverso mostre nazionali un dialogo tra gli intellettuali e gli artisti esordienti. Attraverso l’esposizione di cento opere e due percorsi perfettamente integrati tra loro, il viaggio e l’analisi dell’opera di Marini conduce il visitatore anche al momento in cui egli tempestivamente dissente dalla retorica fascista, quando il regime, diversamente dall’inizio, cede ad una chiusura politica e culturale. Proseguendo, si attraversa anche il periodo della guerra, quando il maestro è in esilio in Svizzera, nel 1943, dove realizza opere capaci di esprimere il dolore di un’umanità, stabilendo una relazione lavorativa con la scultrice Germaine Richier, da lui ritratta.

Il ritratto della Richier è esposto in mostra insieme agli "omaggi" a Filippo De Pisis, Massimo Campigli, Marc Chagall e Jean Arp. Marini ha dedicato una parte significativa della sua produzione al ritratto, cercando, come egli afferma, "di mettere in luce il personaggio, la vitalità interiore del modello". Tra i ritratti celebri anche quello della moglie Mercedes Pedrazzini, incontrata e sposata nel 1938, scegliendo per lei il nome di Marina. La mostra, toccando temi salienti, si conclude con il "dialogo con la contemporaneità" e con il rapporto di Marini con l’astrazione. "Non posso definirmi veramente astratto, a seconda di cosa si può pensare per astratto".

Il rapporto di Marini con l’astrazione non è mai stata alternativa alla figurazione. Nel 1941 gli fu affidata la cattedra di Scultura dell’Accademia di Brera. A Milano si era trasferito già nel 1930, dopo avere vissuto a Firenze, dove nel 1926 aveva aperto un suo studio in via degli Artisti. Dopo il bombardamento alleato su Milano nel settembre del 1942, Marini riparò a Blevio sul Lago di Como, poi dal dicembre si stabilì a Tenero, vicino a Locarno. Gli anni ticinesi segnano la sua scultura, dando avvio ad esposizioni internazionali e l’ eco di quest’ultime lo fecero trionfare alla Biennale del 1947 con i Cavalieri e le Pomone, "epifanie di un equilibrio tra gravità classica e invenzione moderna". In Fortezza i grandi bronzi dialogano invece con l’architettura. Tra le preziosità della mostra anche il gesso preparatorio dell’Angelo della città, 1949-1950, documento del rapporto con Peggy Guggenheim.