
“Le Vergini“, 1916: una delle opere esposte nella mostra
Ad Arezzo l’aria si fa densa di bellezza, intrisa di una potenza scultorea che affonda le radici nel tempo e nell’anima. Domani si inaugura infatti la mostra "Marino Marini. In dialogo con l’uomo", un’antologica che vuole svelare nuove prospettive sull’opera di uno dei giganti del Novecento italiano.
Curata da Alberto Fiz e Moira Chiavarini, con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, l’esposizione è un viaggio emozionante nell’universo di Marini (1901-1980), artista pistoiese capace di cogliere l’essenza dell’inquietudine e della sofferenza umana, trasformandola in sculture e pitture di straordinaria potenza.
La mostra, organizzata dal Comune e dalla Fondazione Guido d’Arezzo si avvale della media partnership de La Nazione, a sottolineare la particolare importanza dell’evento.
L’evento su Marini si articola in due percorsi. Il primo, alla Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea, offre una straordinaria serie di dipinti, affiancati da gessi e bronzi, che permettono di cogliere l’evoluzione stilistica e tematica dell’artista. Qui, la relazione con l’antico emerge con forza, come dimostrano le opere “Le vergini” e la “Zuffa di Cavalieri”, quest’ultima concessa dagli Uffizi, che evocano lo stile di Piero della Francesca.
Un aspetto suggestivo è la presenza, per la prima volta, di sculture ellenistiche in terracotta rinvenute negli scavi della Catona ad Arezzo, esposte accanto ad alcune sculture arcaiche di Marini, a testimonianza di un dialogo profondo e ininterrotto con la storia dell’arte.
Il secondo percorso si snoda negli ambienti della Fortezza Medicea, dove le grandi sculture e le opere monumentali di Marini trovano una scenografia imponente, capace di esaltarne la forza espressiva. Qui lo spettatore è invitato ad ammirare le “Pomone”, simbolo di fecondità e armonia, le “Danzatrici”, i “Giocolieri” e, naturalmente, i celebri “Cavalieri”. Spicca il grande “Cavaliere” del 1949-50, opera ieratica di intensa potenza, che incarna la continua indagine dell’artista sul rapporto tra l’uomo e il suo destino. Toccante è anche il “Miracolo” del 1952, un’opera in cui “l’idea parte fino a distruggersi” e “la scultura vuole andare in cielo”, come lo stesso Marini descriveva, rivelando la sua incessante ricerca di trascendenza. Arezzo, con questo evento, si conferma crocevia di arte e cultura, offrendo al pubblico una finestra privilegiata sul genio di un maestro che ha saputo lasciare un’impronta indelebile nella storia dell’arte italiana.