
La storia di Gustavo, il capostipite partigiano che di corsa scampò a un raid della Luftwaffe. "Ho visto fucilare anche i bambini", raccontava
Repek
Ci sono molti modi per avviare un’attività industriale. Uno dei meno frequenti è correre per la montagna, con una macchina da cucire sulle spalle, sotto il fuoco di un Messerschmitt della Luftwaffe. Era la primavera del 1944: così nacque il calzaturificio Soldini. Gustavo aveva 26 anni e una vocazione: le scarpe. "La mia era sempre stata una famiglia di calzolai – ricorderà nel 2006. Mio padre aveva cominciato ad esercitare il mestiere a Bibbiano e a quei tempi, prima che arrivassero le industrie, le scarpe venivano fatte a mano e i ciabattini non erano molti".
Tra questi i Soldini. Il padre Attilio era nato a Subbiano nel 1875 e si era sposata con Genoveffa Domenica Caneschi. Il primo figlio, Fedoro, era nato nel 1908. Era stata poi la volta di Giuseppe nel 1911, di Ermenegildo nel 1914 e di Gustavo nel 1918. La "spagnola" avrebbe devastato la famiglia, uccidendo la madre Genoveffa e due figli di pochi mesi. Gustavo lavora con il padre ma la seconda guerra mondiale lo costringe a indossare la divisa. Ha un’ernia che lo rende inadatto al fronte e che lo porta a Pavia, attendente di un ufficiale. A cuor di ciabattino, però, non si comanda: "Un giorno portai gli stivali del mio ufficiale da un calzolaio e mi misi d’accordo per lavorare con lui. Successivamente trovai un altro calzolaio e continuai l’attività, pur rimanendo sotto le armi". Non solo. S’iscrive e frequenta una scuola, l’avviamento commerciale. Soldato, studente e calzolaio: "quelli che lavoravano con me aggiustavano 5 paia di scarpe alla settimana ma io ne facevo 10".
Una vita relativamente tranquilla che viene interrotta dal maresciallo Badoglio alle 19.45 dell’8 settembre 1943. Gustavo Soldini non è uomo da farsi tormentare da incertezze e torna a casa. Entra nella Resistenza. È a Molin de’ Falchi quando un fascista catturato riesce a fuggire. Il gruppo partigiano discute il che fare: alcuni, tra questi Soldini, decidono di cercare un altro rifugio; altri scelgono di rimanere. I primi vivranno, i secondi moriranno. Ricorderà nel 2007: "Per me la guerra è stata dolore e morte ho visto delle cose in quel periodo che ancora oggi faccio fatica a ricordare ho visto due bambini fucilati. I tedeschi li presero e li misero sopra uno sgabello, uno accanto all’altro e poi li ammazzarono con un colpo di fucile uno dei due bambini era ancora in culla".
Partigiano sì ma anche calzolaio. I tedeschi erano passati dalla casa di famiglia e avevano requisito la macchina per cucire che serviva per lavorare. Era nascosta sotto il forno del pane e Gustavo non cancellerà mai il sospetto che qualcuno del paese avesse fatto la spia. La macchina serve più del pane e decide di riprendersela. È pragmatico: nasconde il fucile e si mette in tasca tutti i soldi che riesce a trovare.
Raggiunge i tedeschi e apre una piccola trattativa. D’altronde cosa se ne facevano i soldati tedeschi di una macchina da cucire? Riesce a riprendere sia lo strumento di lavoro che la via della montagna. Ma non è fortunato: l’oggetto che ha sulle spalle luccica alla luce del sole e il pilota di un caccia tedesco lo scambia, probabilmente, per un’arma e inizia a mitragliare il ciabattino che voleva solo lavorare. In quella giornata di primavera del 1944 si salvano sia la vita di Gustavo che il patrimonio della sua famiglia.
Inizia così l’era dell’industria Soldini. Il 3 marzo 1946 la ditta individuale del padre Attilio cessa ogni attività a causa della morte del titolare. I figli Giuseppe, Ermenegildo e Gustavo Soldini subentrano nel laboratorio di calzature con la società denominata "Fratelli Soldini" con sede a Ponte Caliano di Subbiano. In quel momento Giuseppe ha 35 anni, Ermenegildo 32 e Gustavo 28. Si dividono il lavoro: il primo si occupa della produzione, il secondo della macchine e il terzo del coordinamento generale delle attività. Lo stile di lavoro che lo caratterizzerà tutta la vita verrà ricordato così dal suo più stretto collaboratore per oltre mezzo secolo, Gaetano Mori: "Ha fatto sempre tutto da solo: ci diceva che potevamo chiamarlo dalle 4 delle mattina alle 10 della sera. Queste erano le ore nelle quali si alzava ed andava a letto. E in queste ore lavorava. Sempre. Controllava direttamente la produzione: gli bastava un’occhiata per capire cosa non andava in una linea. E non se la prendeva mai con i lavoratori ma con noi capireparto. E ai dipendenti ci teneva.
Nell’estate del 1945 prese il camioncino di un meccanico e ci portò tutti al mare, a Rimini. Era un premio e pagò lui. A quei tempi chi aveva mai visto il mare?". Nella vita ci vuole fortuna, come ad esempio la cattiva mira del pilota della Luftwaffe ma anche intelligenza, coraggio e dedizione al lavoro. Con queste qualità Gustavo Soldini, morto nel 2011 all’età di 94 anni, ha lasciato un’impresa che vede impegnate non solo la seconda ma anche la terza generazione di famiglia che il prossimo 3 luglio ricorderanno e festeggeranno gli 80 anni della fondazione dell’azienda.