Salvatore Mannino
Cronaca

Il sollievo di Guerrini, il pianto di Rosi: la procura prepara già l’appello

L’ex vice presidente: "La fine della banca non è colpa nostra, anni di gogna mediatica" L’ultimo numero uno in lacrime al telefono col difensore. Gli avvocati: colpa del sistema, non dei singoli

Arezzo, 2 ottobre 2021 - E’ il primo di ottobre che per generazioni di studenti è stato il giorno del ritorno a scuola. L’atmosfera nell’androne della Vela è un po’ quello dei ragazzi che in classe hanno appena schivato un votaccio nel compito di matematica o di greco. Tutti soddisfatti, dunque, tranne i classici discoli della situazione, che si trovano all’opposto dei banchi: da un lato le due Pm Julia Maggiore e Angela Masiello che si tengono dentro il magone per tutta la lunga lettura (più di un’ora dei risarcimenti alle parti civili, a spese, è ovvio, del solo Rigotti) e poi si dileguano il prima possibile, con la faccia di chi un po’ se l’aspettava ma fa male lo stesso, e dall’altro il difensore del finanziere appena condannato, Daniela Rossi. A caldo, l’avvocatessa è delusa: come mi sento da unica pecora nera in un gregge di pecore bianche? "Amareggiata, è una sentenza ingiusta, anche se il mio cliente esce assolto dalle accuse più pesanti, compreso il presunto golpe contro Faralli del 2009". Poi, però, Daniela Rossi si consulta con Rigotti che vede un bicchiere più mezzo pieno che mezzo vuoto: "La sentenza parla da sola", la sua prima reazione, da imputato che sa di rischiare una pena detentiva vera (ma comunque, a 71 anni difficilmente la sconterebbe in carcere) ma spera in una sentenza ancora più favorevole in appello. "Di 16 capi di imputazione - ragiona il suo difensore - ne sono rimasti solo 7 e per prestiti quando non era più nel Cda. Faremo ricorso per cancellare anche quelli. Pure così, però, è una mezza vittoria piuttosto che una sconfitta". Le due Pm, intanto, sono risalite in procura e hanno relazionato il procuratore capo Roberto Rossi. La reazione è misurata, come quella di uno che non aveva mai commentato con enfasi nemmeno le vittorie più eclatanti: "Le sentenze non si commentano, anche se è stato smontato l’apparato accusatorio, aspettiamo le motivazioni e poi decideremo se fare appello". Ricorso peraltro già sicuro. Al quarto piano dei Pm aspettano solo le motivazioni per metterci mano. Fonti ufficiose parlano di "sorpresa", temperata da un certo clima carico di sensazioni non positive respirato alla vigilia. Eppure in procura c’è sconcerto: i fatti sono lì, clamorosamente evidenti, si dice, dallo Yacht che arrugginisce a Civitavecchia ai 60 milioni della sofferenza Sacci e alle stranezze del dossier San Carlo Borromeo. E non si capisce perchè si sia assolto in base alle stesse accuse per le quali il Gup Giampiero Borraccia aveva condannato a 5 anni Fornasari e Bronchi. Conviene però tornare al piano terra della Vela, dove già in aula gli avvocati hanno cominciato ad esultare quando il presidente Fruganti è passato dagli articoli 533 e 535 che introducono le condanne al 530 che annuncia le assoluzioni con formula piena. E indietro, per codice, non si torna. Lì si è capito come era finita, prima ancora dei singoli nomi. Esce per primo Antonio Giunta, uno dei difensori, insieme a Neri Pinucci, di Lorenzo Rosi, l’ultimo presidente. Ha appena telefonato al suo cliente, lui si è messo a piangere senza riuscire a trattenere la commozione da stress di anni nel fuoco di polemiche e indagini. E’ invece apparentemente tranquillo Giorgio Guerrini, l’unico imputato fra i pochi in aula, che si offra a taccuini e telecamere. "E’ stata dimostrata la correttezza - scandisce - di un gruppo dirigente che ha guidato la banca in un periodo difficile ma che non ha commesso reati. Il crac di Etruria è responsabilità di altri, fuori e dentro la banca". Allusione a quello che sarà il refrain degli avvocati, gli errori di sistema, della politica e delle istituzioni economiche da Consob e Bankitalia. L’ex vicepresidente sorride liberato: "Io ci ho sempre messo la faccia, ma sono stati anni di gogna mediatica". Scivolano via i difensori, Stefano Tenti e Osvaldo Fratini per Guerrini, Luca Fanfani per Ugo Borgheresi, altro dirigente, Luca Berbeglia per Laura Del Tongo, Gianfranco Ricci Albergotti per Piero Burzi: Etruria, dicono tutti, non è morta per colpa di questi amministratori, le colpe vanno cercate più in alto, nei palazzi romani in cui si costruiva un castello in contrasto con la verità storica. Per ora il tribunale dà ragione a loro, ma la fine (la cassazione) è lontana.