GLORIA PERUZZI
Cronaca

Franca, una vita da battilana: "Cantavamo ed eravamo felici anche se avevamo poco o nulla"

La signora Boattini ha lavorato al Lanificio Berti di Pratovecchio da quando aveva 14 anni "Il primo giorno avevo paura: ero una bambina. Ma poi ho vissuto la gioia di portare due lire a casa".

La signora Boattini ha lavorato al Lanificio Berti di Pratovecchio da quando aveva 14 anni "Il primo giorno avevo paura: ero una bambina. Ma poi ho vissuto la gioia di portare due lire a casa".

La signora Boattini ha lavorato al Lanificio Berti di Pratovecchio da quando aveva 14 anni "Il primo giorno avevo paura: ero una bambina. Ma poi ho vissuto la gioia di portare due lire a casa".

Peruzzi o fischiettavo, cantavo... eravamo felici anche se avevamo poco. Ma quando hanno chiuso, ho pianto. Non ci sono mai più voluta entrare". Così si racconta Franca Boattini, classe 1943, una delle ultime battilana del Lanificio Berti di Pratovecchio. Il suo è uno sguardo vivido su un’Italia che non esiste più, un paese dove il lavoro era appartenenza e la fabbrica era un mondo, una comunità. Si cresceva presto, si lavorava sodo e si desiderava piano. Un paio di sandalini rossi bastava a far battere il cuore.

Signora Franca, quando ha iniziato a lavorare al lanificio? "Avevo quasi 14 anni, era il 1957. Avevo finito la scuola a giugno, avrei voluto fare la ragioniera...".

Invece? "Ho iniziato a lavorare. A Pratovecchio c’erano solo due possibilità: le segherie o il Lanificio Berti".

Si ricorda il primo giorno di lavoro? "Avevo paura. Ero una bambina. Le altre erano grandi, le responsabili. Ma poi, la gioia di portare due lire a casa. Ero la sesta di sette figli".

Quanto guadagnava? "All’inizio 700 lire, perché ero apprendista. Dopo, via via che passavi di livello, prendevi anche 3 mila lire al mese. Quando mi sono sposata ho preso 29 mila lire con l’indennità di matrimonio".

Un amore nato tra i telai. "Eh sì... al lanificio ho conosciuto Valdo, detto Gigi. Avevo 16 anni e lui 30, ma quegli occhioni celesti m’incantarono".

Di cosa si occupava al lanificio? "Ero alla filanda dove si facevano i fusi di lana per le spole dei telai. Poteva capitare di andare all’orditoio per fare la matassa. Al lanificio c’era tutta la filiera, anche la tintoria dove la lana diventava arancione o verde: arrivava la lana a ‘bucchi’, appena tosata e usciva tessuto. Il famoso panno del Casentino, quello col ricciolo, nasceva lì".

Era un lavoro pesante? "Sì, ma mai pesante nel cuore. Mi piaceva, mi sentivo parte di qualcosa di importante. Anche se puzzavamo di lana a un chilometro! Ci chiamavano "battilana" e non era un’offesa, era un’identità".

Le donne erano protagoniste in fabbrica? "Eccome. Eravamo quasi tutte donne, gli uomini stavano all’impasto, dove c’era da spingere. Noi invece alla filanda, alla carda, ai telai".

Sempre unite... "Sempre, anche quando si faceva una pausa di nascosto, con una alla finestra a fare da sentinella: ’Oh, c’è il padrone!’ E si tornava al lavoro correndo".

Il ricordo più bello? "L’amicizia tra di noi. Piccini e grandi, uomini e donne eravamo uniti. E quel paio di sandalini rossi che desideravo tanto, ma mamma diceva: ’Questo mese non si può’. Poi me li fece trovare in salotto. Ancora piango al pensiero".

La sua più grande soddisfazione? "Quando da principiante iniziai a passare ai livelli superiori. Era come dire: Franca, ce l’hai fatta. Da spazzare a diventare responsabile. Ti sentivi importante. Cresciuta".

E quanto ci è rimasta? "Otto anni, fino al matrimonio. Poi ho continuato fino al ‘66 quando arrivò una lettera: io e mio marito licenziati entrambi. Credevamo fossero soldi, invece era la fine. Il lanificio chiudeva".

Un duro colpo? "Molto. Avevo appena partorito, dal dispiacere mi andò via il latte. Ma i miei suoceri dissero: ’Franchina, non ti preoccupare. Il cassone è pieno di grano’. E il pane non è mai mancato".

Cosa ha provato? "Un vuoto. Non ci sono più entrata. Quel cancello che si apriva con la sirena alle 7.45... chiuso. Era finito un mondo".

E dopo il lanificio? "Ho lavorato per una ditta di confezioni, poi ho rilevato una bottega. Era un posto semplice, ma ci venivano in tanti: anche Sara Simeoni, Riccardo Marasco e Francesco Guccini che, quando parlava di me diceva: ’La signora della botteghina con la scaletta’".

Oggi com’è la sua giornata? "Faccio tante cose qui a Pratovecchio: cerco volontari per la Misericordia, sono responsabile del settore sociale. Vado nella Rsa a dire il rosario con gli ospiti".

Canta ancora? "Certo. Anche dopo il rosario cantiamo: Quel mazzolin di fiori, Non ti fidar di un bacio a mezzanotte... Un po’ di sacro e profano, come la vita. Sono nel coro delle Suore Camaldolesi e scrivo anche poesie...".

Davvero? "Sì, ma solo quando sono triste. Ho iniziato a 14 anni. Ho vinto anche dei premi. Quella che ho dedicato a mia sorella è stata pubblicata nel ‘Libro muto di Ama’ e nel calendario 2025 di Ama".