
Sulla scuola sventola fiera la bandiera della pace Storie di accoglienza e di amicizie nate tra i banchi
Cartelloni di benvenuto in lingua ucraina, gesti e sorrisi, il linguaggio universale della socializzazione. Ci siamo “avvicinati” a loro piano piano, comunicando in inglese o con il traduttore digitale. In due mesi dall’inizio della guerra sono arrivati nella nostra classe tre coetanei ucraini. Gli occhi gonfi di lacrime e il cuore lacerato: hanno perso tutto o quasi. Fuggiti dall’orrore della guerra sono giunti in Italia ospitati da familiari. Il primo è stato Artur scappato a piedi fino al confine con la Romania. Poi è stata la volta di Polina, con l’anima a pezzi. Abbiamo provato a renderle la vita più serena, forse un miglioramento c’è stato. Infine Yeva, rimasta con noi per poco tempo, ma che ci ha donato simpatia e solarità, nonostante il dramma. Conoscevano poco o nulla dell’Italia, né la lingua nè le nostre abitudini.
Ognuno di noi ha cercato di essere utile: chi li accompagnava a scuola, chi li aiutava con i compiti, chi cercava di essere loro amico anche fuori dell’aula. Nostro obiettivo è stato curare, almeno in parte, le ferite nell’animo. E dalle loro storie abbiamo apprezzato ancor di più le “piccole” cose quotidiane e la fortuna di vivere in un paese senza guerra.