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"Prim’olio, Primovino". Il legame indissolubile con la terra e gli uliveti

Viaggio nella tradizione delle colline che danno l’oro delle nostre tavole "Da noi, ogni famiglia aveva qualche albero. C’è un rapporto sentimentale".

"Prim’olio, Primovino". Il legame indissolubile con la terra e gli uliveti

Una passata edizione di «Prim’olio, Primovino»

Oliveti, olio e tradizione: Camaiore li ha nel sangue e gli abitanti e i loro ricordi odorano di terra e autunno trascorsi a ‘cogliere’. Olive gonfie, recuperate, frante e profumate e tante zone collinari che producono olii differenti: l’evento di sabato e domenica prossimi, Primolio e Primovino non è solo promozione, ma scoperta, gusto e ritrovo di famiglie che facevano e fanno la gara per ottenere il prodotto migliore. Quindici edizioni ma, nel cuore della città e delle frazioni, infinite sono le edizioni di olii e viti, di reti per raccogliere e buon condimento da usare come un unguento magico.

"Un rapporto forte, sanguigno, familiare. L’oliveto come un’appendice stretta della casa – racconta Tatiana Di Giusto, chef e titolare del negozio Margherita Conad di Marignana –; mantenere gli oliveti è emblema del lavoro vero di un tempo: mantenere la terra, la tradizione, la famiglia. Le famiglie buone avevano un corredo di oliveto e bosco: chi 50 o 60 anni fa non lo possedeva era gente poverissima, che si doveva impiegare per fare la raccoglitrice e in compenso riceveva un po’ d’olio. C’erano tantissimi frantoi a Camaiore e da lì si può capire la produzione grandissima che c’era. Quando le olive erano state raccolte, c’erano le raccoglitrici “a ricerca” e, quando i padroni avevano preso il raccolto, le donne andavano a scovare le olive “scappate“: mani e unghie nere".

I cinghiali non vanno nei terreni curati e i roghi non li ‘attaccano’: insomma gli oliveti proteggono il territorio. "È una tradizione di anni e anni – spiega Anna Lisa Di Noto Menchini – siamo cinque famiglie e curiamo il nostro oliveto e anche quelli caduti in abbandono del paese". E da questo lavoro nasce l’oro giallo. "Una tradizione antica, buona e genuina, frutto di un lavoro appreso da nonni e bisnonni, per creare un prodotto ‘nostro’ con cui i cibi assumono un altro sapore, un olio da mantenere rigorosamente in vetro, senza conservanti", afferma Luca Lunardi, ex operaio Salov ed esperto di Enolia. "Non esiste buona cucina qui da noi che non voglia l’olio buono": il motto degli addetti ai lavori è sempre lo stesso.

Cura, dedizione e conservazione dei terreni e degli usi della comunità. Ad ogni manifestazione dedicata al prodotto si sono sottolineate le diverse caratteristiche a seconda dei posti degli ulivi. "Nasciamo sentendo parlare di olio buono – assicura Lorenzo Vecoli della Taverna camaiorese – per noi è come il pane: fa parte della crescita, delle vecchie merende salutari, dei ricordi e dell’educazione". Insomma l’educazione di Camaiore all’olio e’ ‘sentimentale’ e di lunga tradizione. Pier Paolo Dinelli, farmacista, cita persino D’Annunzio e chiosa: "Il nostro teatro addirittura è dedicato all’Olivo".

Isabella Piaceri