Un incubo durato cinque mesi. Vissuti senza mai arrendersi, con la stessa tenacia con cui, per anni, ha alzato manubri sempre più pesanti. Luca Guarino (al centro nella foto), 31 anni, atleta viareggino, da un giorno all’altro ha visto la sua vita precipitare: era il 24 dicembre quando, dopo una sessione di allenamento in palestra, ha cominciato a sentire un formicolio ai piedi. Tre giorni dopo, era paralizzato, vittima di una malattia autoimmune - la sindrome di Guillain-Barré - che colpisce il sistema nervoso. Riusciva a muovere solo il collo. Ha pianto, ha lottato, ha tirato fuori tutto quel che aveva per rimettersi letteralmente in piedi.
E lunedì il suo amico Jacopo Pucci, personal trainer e titolare della palestra Metropolis a Bicchio, gli ha organizzato una festa per celebrare il processo di guarigione.
Luca, prima di tutto come stai?
"Molto meglio. Tre mesi fa ero totalmente paralizzato. Adesso, con il deambulatore, sono piuttosto autonomo. Il percorso è ancora lungo, ma in poco più di un mese è cambiato tutto. Ora devo puntare a recuperare polsi e caviglie".
La tua storia è una testimonianza di forza di volontà. Com’è iniziato questo calvario?
"All’inizio mi sono sentito morire: stavo benissimo e nel giro di tre giorni mi sono ritrovato paralizzato. La vigilia di Natale mi sono allenato, poi ho iniziato ad avvertire un formicolio ai piedi. Il giorno dopo si è esteso anche alle mani e ho iniziato a preoccuparmi. Il 26 sono andato per la prima volta in ospedale. Poi, la sera, ho mangiato una pizza con la mia ragazza, sono andato a letto, mi sono svegliato verso le 2 e non riuscivo neanche a mettere le ciabatte da tanto che mi tremavano le gambe. La mattina dopo ho chiamato l’ambulanza. Arrivato all’ospedale, non muovevo più il tronco e tempo qualche ora riuscivo a muovere solo il collo. I neurologi sono stai bravi a diagnosticare la malattia, ma ho vissuto dei mesi orribili, avevo il cuore in gola, respiravo malee rischiavo di essere intubato. Non riuscivo più a mangiare e dovevano nutrirmi con l’acqua gel, Per fortuna c’era la mia ragazza che si è sempre mostrata forte, mi ha messo in contatto con altre persone che avevano avuto la mia stessa malattia e ne erano uscite".
E’ stato il punto di svolta?
"Mi ha permesso di tranquillizzarmi e farmi forza. Mi hanno trasferito alle Barbantine, dove ho trovato un personale molto disponibile. Io volevo tornare a casa, ero sfinito dallo stress. Ero passato da 104 chili a 68. Però ho iniziato a riprendermi. In due settimane sono tornato a muovere braccia e gambe. Poi mi hanno mandato al San Camillo, e lì ho mosso i primi passi. Lunedì, alla festa, ho camminato tanto, facendo pure le scale. Alcune cose non riesco ancora a farle, ma spero di farcela nel giro di qualche mese".
A cosa ti sei aggrappato nei momenti più difficili?
"La mia ragazza è quella che mi ha aiutato di più. C’è sempre stata, mi ha visto nei momenti peggiori, era con me quando ho pianto. Si è fatta carico di tutte le responsabilità. Faceva i tamponi tutte le settimane, veniva il sabato e la domenica, parlava con i dottori, mi ha aiutato con il lavoro e mi ha sempre dato forza. E poi mio babbo e gli amici, che si sono sempre fatti sentire".
Cosa sogni di fare, appena questo incubo sarà alle spalle?
"Prima di tutto, una vacanza con la mia ragazza. Se la merita. Poi voglio tornare a lavoro: lo potrò fare appena ricomincerò a guidare, forse tra un mesetto. E poi la palestra, che per forza di cose sarà l’ultima cosa che potrò riprendere".
Daniele Mannocchi