"Non rinuncio". Con due parole, sottovoce, l’ex ad delle Ferrovie Mauro Moretti, ieri in aula a Firenze per il processo bis per la strage di Viareggio, ha dichiarato l’intenzione di usufruire della prescrizione, che di fatto scrolla dalle sue spalle, come già per gli altri condannati, il reato di omicidio plurimo colposo.
Due parole. Forse proprio quelle previste da familiari delle vittime del disastro ferroviario, ma sicuramente anche le più difficili da digerire per chi ha perso un figlio in seguito alle ustioni dell’incendio divampato la notte del 29 giugno 2009. E l’ha vegliato fino alla fine, senza nemmeno poterlo stringere un ultima volta per paura che una carezza potesse ferirlo. C’è dunque tutto il dolore, c’è l’assenza, c’è l’attesa snervante ormai lunga tredici anni per ottenere quel briciolo di giustizia che resta dopo la prescrizione, dietro il grido, "Vergogna", che ha scosso l’aula del tribunale di Firenze dopo le due parole di Moretti. E al termine della prima udienza, rinviata al 7 aprile per consenitire la traduzione delle motivazioni della sentenza di Cassazione in tedesco, Daniela Rombi e Luciana Beretti – entrambe madri, e entrambe unite dallo stesso dolore, dalla stessa perdita, dalla stessa snervante attesa – hanno provato ad avvicinare l’ex Ad di Ferrovie. Per cercare il suo sguardo, per mostrargli ciò che quella notte di inizio estate hanno perso, le foto dei loro figli, Manuela (21 anni) e Federico (34 anni), stampate sul petto. Forse anche per cercare una spiegazione. Ma l’ex ad ha lasciato la prima fila, dov’era seduto, e poi l’aula, da un’uscita di servizio. Senza aggiungere nient’altro. "Noi siamo all’ergastolo – sbotta Daniela Rombi – e lui con due parole sussurrate si è guadagnato la non prigione. Tutto questo è inaccettabile". Una reazione "incomprensibile" commenta invece l’avvocato Ambra Giovene, che ha assunto la difesa del principale imputato. "L’ingegner Moretti – prosegue – è l’unico che ha rinunciato alla prescrizione in appello per l’incendio colposo e per le lesioni. Oggi accettando la prescrizione per l’omicidio colposo viene a trovarsi nella identica posizione degli altri imputati. Capisco lo strazio dei familiari - ha aggiunto -, spiace però che questo strazio abbia trovato sfogo in aula, appena la corte si è ritirata, con offese verso l’ingegner Moretti e la ricerca di uno scontro col suo difensore. Nulla può il richiamo a principi di diritto ed alla presunzione di innocenza di fronte al dolore e alla volontà di individuare un capro espiatorio".
Nel corso del primo processo d’Appello l’ex ad di Ferrovie, condannato poi a 7 anni, rinunciò alla prescrizione, che allora scattava per i reati di lesioni e incendio colposo. E la Cassazione, annullando con rinvio la sentenza, ha stabilito che Moretti dovesse specificare nuovamente nell’appello bis le sue intenzioni, dal momento che l’aveva fatto prima che cadesse in prescrizione il reato di omicidio colposo plurimo, poi venuto meno per la caduta dell’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. "In occasione del primo appello – ricorda Marco Piagentini, che nell’inferno del 29 giugno ha perso la moglie Stefania e i figli Luca e Lorenzo, e che oggi è presidente dell’associazione dei familiari ’Il mondo che vorrei’ – Moretti disse che avrebbe rinuncianto alla prescrizione perché era innocente. Dunque come dobbiamo valutare la non rinuncia fatta oggi? Questa scelta per noi è un’ammissione di colpa". Ma se lo aspettavano i familiari delle vittime, "il vero colpo di scena sarebbe stato un altro. E quello che adesso speriamo – prosegue Piagentini – è che i giudici recepiscano le indicazioni della Cassazione, e che vista la gravità di quento accaduto a Viareggio la notte del 29 giugno decidano di confermare le pene già stabilite".
Anche il rinvio del processo, di un mese ancora per consentire la traduzione delle motivazioni in tedesco come richiesto dai difensori degli otto imputati stranieri, lascia sgomenti i familiari. "Se la giustizia fosse un’impresa privata – commenta Piagentini – per questa mancanza forse quelcuno sarebbe già stato licenziato. Purtroppo la vicenda processuale di Viareggio racconta oggi tutti i limiti della giustizia italiana, sono passati tredici anni e noi siamo ancora qui". Ma non da soli, oltre cento persone hanno accompagnato i familiari in aula. Sostenedoli di fronte all’ennesima prova. "Ma nessun rappresentante del Comune, che – ha sottolineato Rombi – in questo processo sarebbe parte civile proprio come noi".
Martina Del Chicca