REDAZIONE VIAREGGIO

Il duplice suicidio fra mille dubbi

L’estate noir nel 1989 – passata alla storia per il giallo della ‘Circe della Versilia’, una storia di amore e...

Il ritrovamento dei corpi

Il ritrovamento dei corpi

L’estate noir nel 1989 – passata alla storia per il giallo della ‘Circe della Versilia’, una storia di amore e morte – venne aperta a giugno da una vicenda che per un paio di ore sembrò essere un’appendice drammatica delle geste del ‘mostro di Firenze’ che fino a pochi anni prima aveva punteggiato le colline fiorentine. La scoperta in una calda serata di domenica, fra il 27 e il 28 giugno, di due corpi senza vita all’interno di un’auto parcheggiata in una discarica dismessa sulle colline di Massaciuccoli mandò le redazioni di mezza Italia in fibrillazione: il ‘mostro di Firenze’ aveva (e ha ancora) un alone di mistero all’ennesima potenza. Di sicuro all’interno di un’auto c’erano due persone morte, un uomo e una donna. Ma quando arrivò il medico legale escluse che le vittime avessero subito lo stesso trattamento che il ‘Mostro’ riservava soprattutto alle sue vittime femminili. Così se da una parte si stemperava la pista dell’omicidio con una firma macabra, dall’altra prendeva corpo e sostanza un altro giallo visto che sull’auto oltre ai documenti delle due vittime (un uomo e una donna che avevano una relazione tormentata: gestivano, con mille difficoltà, un ristorante in una città toscana) gli inquirenti ne avevano trovato un terzo, appartenente ad una persona domiciliata in provincia di Torino.

Insomma, una storiaccia, di fronte alla quale gli inquireti riuscirono a trovare il bandolo della matassa. Ma fino ad un certo punto, nel senso che la ‘terza persona’ (il titolare dei documenti in più trovati sull’auto) era già in ospedale da una settimana: un signor nessuno che sette giorni prima, in stato confusionale, con vestiti stracciati e senza memoria, era stato trovato lungo la via Pietra a Padule, non lontano dal luogo dove dopo una settimana sarebbe stata scoperta l’auto con i due corpi senza vita. Carabinieri e polizia maturarono la convinzione che il terzetto avesse deciso di comune accordo di farla finita, perché gli affari non andavano bene e non c’era verso di rimettere in piedi la baracca. Il collegamento del tubo di scappamento con un pezzo di gomma che riversava l’ossido di carbonio nell’abitacolo sigillato: due accettarono, senza reagire di andare incontro alla morte, il terzo – per istinto di sopravvivenza – decise di salvarsi anche a costo di uscire da quell’inferno pesantemente menomato nel fisico e nella mente.