
Parla il soprano Maria Josè Siri, a cui spetterà il compito di chiudere da protagonista la settantunesima edizione della rassegna lirica dedicata al Maestro: "Una grande emozione cantare in questi luoghi".
Coraggiosa e determinata, generosa e resiliente alla fatica e al dolore. Maria Josè Siri non corrisponde per niente all’archetipo del soprano capriccioso e fatale, ma nella vita reale emula con coraggio le grandi eroine che è solita interpretare. Dopo l’infortunio che sabato scorso l’ha costretta ad affrontare la scena da seduta nell’ultimo atto di una trionfale Manon Lescaut, si prepara nuovamente a calcare domani sera il palcoscenico del Gran Teatro Puccini nella recita conclusiva del 71° Festival.
Come si sente adesso?
"Mi sono ripresa e sto molto meglio. Sabato poco prima del quarto atto ho inciampato nella scenografia e sono caduta lanciando un urlo tremendo. Un dolore terribile. Credevo di essermi rotta la gamba e per fortuna non è stato così. Ma solo la necessità di un ricovero in ospedale avrebbe potuto fermarmi. Sono cresciuta con questa determinazione: impegnarmi al massimo per dare sempre il meglio. Ho un rispetto fortissimo per i colleghi, il direttore, l’orchestra e soprattutto non volevo deludere il pubblico che ha aspettato partecipe in silenzio. Abbiamo preso tempo, abbiamo studiato come poter rimediare e siamo andati. Ho affrontato il palcoscenico seduta e con il ghiaccio sulla gamba".
Ed è stato un trionfo. Un finale meraviglioso e commovente... "Che devo dire? Forse il dolore fisico mi ha reso ancora più vicina a Manon che muore. Il caso ha voluto che la mia situazione corrispondesse a quella che si presenta alla fine dell’opera: ‘Tu soffri?’ chiede Des Grieux, e Manon risponde: ’Orribilmente!’".
Tra i personaggi interpretati quello che sente più vicino?
"Ho esordito con Aida, un ruolo che ho eseguito più di 200 volte soprattutto all’Arena di Verona dove sono di casa, ma poi sono arrivati molti altri personaggi. Tosca, Manon, poi Butterfly alla Scala, Adriana Lecouvreur e ultimamente Abigaille nel Nabucco".
Che effetto le hanno fatto le grandi statue di Mitoraj?
"Questa scenografia coniuga perfettamente l’arte moderna con lo spirito classico. I grandi spazi e i volti giganteschi creano la magia di un quadro. Poi devo dire che abbiamo lavorato con il regista De Plano e con il direttore Valerio Galli in completa sinergia, e con tutto il resto del cast l’affiatamento è stato perfetto".
Questa è stata la sua prima volta a Torre del Lago.
"Sì, non ero mai stata qui nemmeno in vacanza e devo dire che solo nei luoghi speciali i festival lirici sopravvivono a lungo. Ieri con Aida ho chiuso la stagione dell’Arena e domani chiudo con Manon quella di Torre del Lago: è una grande emozione essere protagonista in due contesti importantissimi. Un’estate che finisce in bellezza. Qui c’è un’energia molto speciale. Prima della recita abbiamo visitato la villa di Puccini. Quando siamo usciti, al tramonto, c’era un doppio arcobaleno che nasceva sull’acqua e finiva sulle colline. Mi sono emozionata: io sono una cacciatrice di arcobaleni. Quel cielo grigio con spiragli di sereno e l’arcobaleno riflesso sul lago è stato un augurio arrivato direttamente dal Maestro".
Chi è Manon secondo Siri?
"Manon ha una maggiore complessità rispetto a altre opere di Puccini e necessita di una cura particolare. All’inizio è una ragazza sempliciotta, poi ha questa esplosione di voracità, di avidità di denaro, potere, bellezza e per questo si rovina. Ma nel dolore si evolve: i suoi valori cambiano drasticamente e capisce che le cose non servono a niente: quel che conta è l’amore. Alla partenza per l’esilio le concedono di avere accanto De Grieux. Il povero studente che all’inizio non le prometteva niente, negli ultimi respiri la tiene tra le braccia".
Chiara Caselli