GAIA PARRINI
Cronaca

Il cibo che crea disagio. Tra relazioni conflittuali e social ’’distorsivi’’: "È un boom di ricoveri"

Al “Versilia“ negli ultimi tre anni sono quadruplicate le ospedalizzazioni. Gagliardi: "Da noi arriva la punta dell’iceberg, il fenome è molto più esteso".

Il cibo che crea disagio. Tra relazioni conflittuali e social ’’distorsivi’’: "È un boom di ricoveri"

Un’equipe interdisciplinare, quella attivata all’ospedale Versilia, per la cura dei disturbi alimentari. Esperti e professionisti che collaborano per offrire ai pazienti nuova speranza. I responsabili della salute mentale adulti, Jacopo Massei e Alessandro Del Debbio, specializzato nella cura dei dca, Stefania Millepiedi, responsabile della Neuropsichiatria infantile, e Luigi Gagliardi, direttore del dipartimento di Neonatologia e Pediatria, ci descrivono la situazione.

Com’è la situazione nel nostro territorio?

Jacopo Massei: "La situazione di assistenza ai disturbi della condotta alimentare, o disturbi della nutrizione e alimentazione, dovrebbe prevedere, secondo le delibere regionali e nazionali, il lavoro di diverse figure: lo psichiatra, il nutrizionista, lo psicologo, il dietista, che, oltre ad altre figure riabilitative, lavorano in rete per poter garantire un’adeguata assistenza a seconda del caso, perché i problemi possono essere esclusivamente di tipo ambulatoriale, ospedaliero, di tipo semi residenziale o residenziale. Nella nostra zona non siamo messi male, perché nel 2012 è stato varato un protocollo interno dell’allora Asl 12, che prevede la presenza dei professionisti sopra citati, insieme al medico igienista che si occupa di riabilitazione nutrizionale. Non abbiamo un centro staccato ma abbiamo punti di riferimento forti, per un inserimento successivo in strutture riabilitative".

Quali sono le patologie più diffuse?

Alessandro Del Debbio: "La patologia è prevalente, intanto, nel sesso femminile, anche se la tipologia maschile sembra presentare tassi di incidenza a rialzo, che si esprime con un comportamento alimentare diverso, verso l’aumento della massa fisica e muscolare. Sono prevalenti le forme caratterizzate da un discontrollo alimentare, dal disturbo dell’alimentazione incontrollata detto binge eating disorder, alle forme più specificamente bulimiche e alle condotte di compenso. Molto più gravi le forme di anoressia più specifiche: sono numericamente inferiori, ma sono più gravi, più difficili da curare e si accompagnano ad un disturbo dell’immagine corporea. Molto spesso ci sono disturbi di carattere psicotico che devono conseguire trattamenti specifici, richiedono intervento assistenziale maggiore perché si tratta di procedere alla rialimentazione di questi pazienti, destinati poi a un percorso riabilitativo nelle strutture dedicate residenziali".

In che età emergono i disturbi?

Stefania Millepiedi: "È tipicamente una patologia che insorge nell’età adolescenziale. Nel post pandemico si è notata l’anticipazione dell’età di insorgenza: ragazze di 11-12 anni con disturbi della condotta alimentare evidenti. La patogenesi è di tipo multifattoriale, per cui c’è una componente neurobiologica di vulnerabilità implicita su cui si inseriscono gli aspetti ambientali, familiari, e dei social media, che portano modelli estetici di magrezza e di gestione del disagio attraverso aspetti corporali".

C’è stato un aumento?

Luigi Gagliardi: "Negli ultimi 3 anni i casi sono quadruplicati, ci sono stati rispettivamente 27, 28 e 25 ricoveri, il grado massimo della malattia. I pazienti vengono ricoverati in pediatria e solitamente rimangono 3-4 settimane, ma devono poi essere ricollocati in strutture di assistenze per poter continuare la cura. Noi, con l’ottima collaborazione dei neuropsichiatri, abbiamo migliorato l’approccio farmacologico e psicologico con ragazzi e genitori. L’ospedale può fare solo da tampone, per attutire le acuzie, ma il paziente rimane in carico al territorio, che deve dare la possibilità di recuperare una condizione di vita normale".

Qual è il motivo di questo aumento?

Stefania Millepiedi: "C’è un aumento generale del disagio psichiatrico. Le pazienti che hanno una vulnerabilità neurobiologica molto alta, qualunque sia l’ambiente circostante, sviluppano un quadro clinico. In questo momento i fattori ambientali, con i social media, famiglie più conflittuali e un aspetto sociale meno forte, slatentizzano più facilmente una vulnerabilità biologica di base".

Com’è il lavoro di equipe?

Jacopo Massei: "Questi disturbi hanno risposta molto piccola per ogni figura che viene tirata in ballo, tutte le figure professionali danno un quid nella gestione del caso. Qui sta la grande difficoltà di gestione dei disturbi della condotta alimentare: rispetto ad altre situazioni cliniche dove c’è un unico professionista a cardine, sono più figure che mandano avanti la situazione e piano piano conseguono il risultato".

Ha fiducia nei fondi promessi? Stefania Millepiedi: "Speriamo nella possibilità di attivare il circolo virtuoso già iniziato. Noi come SMIA siamo più che fiduciosi verso questi fondi, da sfruttare su personale formato all’interno dell’equipe professionale centrale. Perché è lavorare insieme che fa la differenza".