
di Daniele Masseglia
Avrà un secondo capitolo la delicata storia giudiziaria di un allenatore di 63 anni, versiliese, condannato a metà ottobre in primo grado al Tribunale di Lucca per il reato di violenza sessuale nei confronti di tre atlete, anche loro versiliesi, di cui solo una oggi è maggiorenne. I suoi legali nei giorni scorsi hanno presentato il ricorso alla Corte d’appello di Firenze in quanto a loro parere il giudice non avrebbe esaminato correttamente le prove fornite dalla consulenza tecnica (ctu) ritenendo, pertanto, la sentenza "ingiusta". Nel frattempo sono state depositate le motivazioni della sentenza di primo grado pronunciata a ottobre dal giudice Riccardo Nerucci dopo la richiesta dell’uomo di essere giudicato con il rito abbreviato.
Si tratta di una decina di pagine in cui viene ripercorsa la vicenda, che copre un primo arco temporale compreso tra il settembre 2018 e il maggio-giugno 2019 per poi ripetersi nel marzo 2020 e infine nel 2021 alla ripresa degli allenamenti, che erano stati sospesi causa Covid. I fatti contestati si erano verficati al campo sportivo, durante esercizi ginnici o nelle pause degli allenamenti. Secondo il giudice il 63enne avrebbe approfittato del suo ruolo di allenatore per avvicinare le ragazze, all’epoca 14enni e difese dagli avvocati Laura Silvestri di Pietrasanta, Elena Tori di Lucca e Carmelo Marcello di Bologna, per molestarle toccandole nelle parti intime. L’indagine era partita nell’aprile 2020 dopo la segnalazione inviata alla Procura da una dottoressa dopo lo sfogo di una delle ragazze da lei in cura per problemi di salute. La ragazza, in lacrime, aveva parlato alla dottoressa di un uomo che le aveva "fatto del male". A quel punto la pm Sara Polino ha aperto il fascicolo nei confronti dell’uomo, che era stato anche sospeso per sei mesi come misura cautelare sebbene il pm avesse chiesto gli arresti domicliari.
Poi il verdetto, con il 65enne condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione, più provvisionali per 40mila euro (destinate alle ragazze e a un genitore), sanzioni accessorie, interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, interdizione perpetua da ogni ufficio attinente con i minori e, dopo l’esecuzione della pena, l’obbligo per un anno di comunicare i propri spostamenti. Ma i suoi legali, gli avvocati Roberto Barsanti di Pietrasanta e Alessandro Armaroli di Bologna, hanno ricorso in appello perché a loro parere il giudice non ha preso in considerazione le dichiarazioni investigative testimoniali compiute dai legali nonché ciò che ha detto la ctu. Per l’udienza se ne riparlerà tra qualche mese.