
Mentre sul grano infuria una battaglia fatta di tensioni geopolitiche e di sovrapproduzioni, l’Umbria – e più in generale l’Italia – pagano anche una stagione meteo avversa, con piogge e maltempo a maggio che hanno ferito profondamente la quantità e la qualità del grano (e, tra l’altro, hanno influito sulla diffusione della peronospera, che sta una drastica riduzione della produzione vinicola). La sostanza è questa: il grano (sia tenero che duro) che gli agricoltori italiani hanno portato ai molini è risultato di una qualità notevolmente inferiore a quella degli scorsi anni, e di conseguenza è stato pagato meno. Vista la scarsità del grano italiano di qualità, per le varie produzioni è stato quindi necessario miscelarlo con grani di qualità importati (dalla Turchia, dal Canada, ma anche da molti altri Paesi) e quindi quel poco grano di qualità italiano che c’era è entrato in diretta competizione di prezzo con quello di questi Paesi.
Messe le cose tutte insieme, gli introiti degli agricoltori sono colpiti due volte: la prima perché la produzione, causa come detto le avverse condizioni metereologiche, è scesa di almeno il 20%; la seconda è perché il grano che gli agricoltori vendono viene pagato assai meno rispetto alle annate precedenti. In provincia di Perugia, affermano i dati dell’ultimo Bollettino della Borsa Merci, il prezzo medio pagato all’agricoltore per una tonnellata di grano tenero di migliore qualità è sceso su base annua (da ottobre 2022 a ottobre 2023) da 333 a 222,5 euro, con una contrazione del 33,2%, maggiore di quella registrata nello stesso periodo dal grano duro (-18,2%). Ma quello di bassa qualità (che è quello in maggiore quantità) addirittura a 165 euro. Da gennaio 2022 (quindi prima dell’inizio della guerra in Ucraina) c’è stato un calo di 145 euro a tonnellata (-39,5%). Migliore, rispetto al grano tenero, l’andamento del grano duro dove si è passati da 437,5 a 357,5 euro (-80 euro), con una contrazione del 18,2%. Ma anche qui rispetto al gennaio 2022 si è scesi di 148,5 euro a tonnellata.