
E’ tutta "made in Umbria e in Orvieto" la straordinaria scoperta destinata a segnare una nuova tappa nella storia dell’arte. Per dipingere il noto affresco il Trionfo di Galatea, conservato a Roma in Villa Farnesina, oggi sede dell’Accademia nazionale dei Lincei, Raffaello diede vita ad un esperimento unico, realizzando il primo colore artificiale della storia, da allora noto come "blu egizio". Si tratta uno dei primi pigmenti in assoluto di origine non naturale il cui uso si era perso dopo la fine dell’Impero romano, sostituito dal lapislazzuli.
Il ritrovamento di questo colore sul Trionfo di Galatea è il primo caso in assoluto del Rinascimento dopo secoli di oblìo, nonché un unicum nella produzione raffaellesca ampiamente studiata. La scoperta si deve ad un gruppo di ricercatori guidati dal professor Antonio Sgamellotti, accademico de Lincei e professore emerito di chimica dell’Università di Perugia. Nel gruppo, anche la dottoressa Chiara Anselmi orvietana e dipendente del Cnr di Porano che si occupa di tecniche di spettroscopia molecolare e che, insieme a Claudio Seccaroni dell’Enea, Michela Azzarelli, Manuela Vagnini del Laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto, Roberto Alberti e Tommaso Frizzi, ha condotto analisi non-invasive puntuali e di imaging sull’affresco del maestro urbinate trovando l’inaspettato.
L’ampio uso fattone da Raffaello indica la precisa volontà dell’artista di ricreare e ai materiali pittorici dell’antichità per ritrarre un soggetto mitologico. Le avanzate tecniche impiegate hanno consentito di mappare la presenza del blu egizio su tutta la superficie dell’affresco svelandone l’uso anche per l’azurage della cornea degli occhi di Galatea, oltre al cielo e al mare. Una scoperta che però ha anche un sottofondo di amarezza dal momento che due delle sue autrici, in forza al laboratorio spoletino, attendono ancora la stabilizzazione professionale da parte della Regione da cui l’ente dipende per la parte economica.
Cla.Lat.