
Morto a 17 anni dopo le ’chemio’. Il gip respinge l’opposizione alla richiesta di archiviazione
"La scelta operata, tenuto conto dei dati a disposizione dei medici" è stata "corretta" e "non vi è prova certa della riconducibilità del sanguinamento che ha portato al decesso all’ultima somministrazione di chemioterapia". Così, con queste parole e per queste ragioni il gip di Perugia respinge l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata da Elena e Stefano Mazzoni nell’ambito del procedimento avviato in seguito alla morte del loro figlio 17enne che vede indagati otto medici dell’ospedale. Alex era stato ricoverato al Santa Maria della Misericordia i primi di febbraio 2020 per curare una leucemia linfoblastica a cellule B. In un mese di trattamento si erano susseguiti quattro cicli di chemioterapia. Il ragazzo era morto l’11 marzo successivo in seguito ai sanguinamenti all’intestino che, secondo i periti del giudice, avrebbero trovato nell’angiodisplasia di cui Alex sarebbe stato affetto un fatale alleato.
Ma, secondo i consulenti della famiglia, il ragazzo non aveva quella patologia che “indebolisce” i vasi sanguigni dell’intestino: solo alcune settimane fa, l’avvocato che assiste i genitori di Alex aveva depositato in tribunale una perizia firmata dal direttore del reparto di Diagnostica per immagini dell’ospedale di Pesaro secondo il quale Alex non sarebbe deceduto per l’angiodisplasia genetica ma per gli effetti della mucosite chemioindotta. Di tutt’altro avviso il gip che, come detto, ha respinto il ricorso contro l’archiviazione. Spiega il giudice per le indagini preliminari: si ritiene "... da un lato che le condizioni del paziente - che a seguito di esame era risultato avere diverse ulcere in fase di cicatrizzazione con cessazione dei sanguinamenti e che tuttavia non risultava completamente guarito dalla leucemia, col rischio di ripresa della malattia particolarmente elevato per la giovane età - consentisse di riprendere la chemioterapia e dall’altro che una sospensione della medesima rappresentasse, per la conoscenze in quel momento a disposizione dei medici curanti, un pericolo maggiore rispetto a quello di una ripresa del sanguinamento... è stato spiegato dai periti come fosse essenziale giungere a una assenza totale di blasti al fine di consentire al midollo di riprendere le sue funzioni".
Poi il nodo dell’angiodisplasia genetica: "Neppure è possibile ricondurre con certezza l’emorragia alle ulcere chemioterapiche, essendo stata accertata la presenza di angiodisplasie che possono parimenti determinare sanguinamenti del genere di quello verificatosi e mortale".
Ma i genitori di Alex non ci stanno, non vogliono arrendersi, neanche dopo il rigetto dell’opposizione alla richiesta di archiviazione.