
La vicenda è finita in tribunale
Perugia, 27 giugno 2025 – Licenziata ingiustamente, illegittimamente. E in modo ritorsivo. Lo ha deciso la Corte d’appello di Perugia a cui ha fatto ricorso la dipendente si una società con più sedi in Italia e anche nel perugino,, licenziata dopo la decisione di suo marito, anche lui dipendente della stessa società ma ma impegnato in un’altra mansione, di lasciare il gruppo per passare a lavorare per un’altra azienda. In primo grado le istanze della dipendente erano state respinte, mentre in secondo grado, il tribunale ha ritenuto motivate le sue ragioni, disponendo il reintegro e il pagamento degli arretrati oltre alle spese processuali.
La dipendente era stata assunta nel 2010, ottenendo nel tempo diverse promozioni, a conferma - sottolinea il suo difensore, l’avvocato Siro Centofanti - arrivanto a occupare un II livello. Sul lavoro aveva conosciuto quello che sarebbe poi diventato suo marito. Marito che, all’epoca, lavorava in una sede fuori Umbria. Dopo le nozze, nel 2022, la dipendente aveva chiesto e ottenuto il trasferimento per potersi riunire con il marito. Circa un anno dopo, l’uomo si era dimesso dal suo incarico, A questa decisione, secondo quanto evidenziato dalla donna che aveva proposto ricorso, sarebbe conseguita una reazione anomala da parte dei vertici dell’azienda, che avrebbero promesso “battaglia“, ammonendo l’ex dipendente sul fatto che si era fatto dei nemici e che non avrebbe più fatto sonni tranquill.
E l’incubo si sarebbe manifestato realmente quando, secondo la parte interessata, la dipendente, una settimana dopo le dimissioni del marito, era stata licenziata perché, dopo averle cambiato mansione, secondo l’azienda avrebbe parlatocon i colleghi in maniera “non congrua” di questa decisione presa dall’alto e avrebbe rivelato al marito chi lo aveva sostituito.
Dopo la sentenza di primo grado, l’impugnazione di secondo grado di fronte a quello che, ha sottolineato nell’atto l’avvocato Centofanti, appariva come un licenziamento pretestuoso e chela vera ragione della decisione fosse da attribuire a una ritorsione della società contro il marito della donna che aveva deciso di cambiare lavoro, lasciando l’azienda in questione. Una tesi, quella della “ritorsività“ del provvedimento di licenziamento che i giudici della Corte d’appello hanno accolto, disponendo il pagamento di 15 mensilità oltre la reintegrazione.
L.F.