REDAZIONE UMBRIA

"Incubo finito. Mi vergogno di essere felice"

L’avvocato Francesca Carcascio racconta la terribile esperienza del Covid, vissuta da lei, dagli anziani genitori e dalla sua bambina

"Oggi mi sembra il primo giorno di una nuova vita", inizia cosi il lungo post in cui Francesca Carcascio, avvocato, racconta la terribile esperienza del Covid, vissuta da lei, dai suoi anziani genitori e, indirettamente, dalla sua bambina. Un mix di paura, dolore, rabbia, speranza e ora, che tutto è finito, sollievo. Con la consapevolezza di una nuova vita, appunto, tutta da apprezzare.

"Mi vergogno di essere felice perché per me e per la mia famiglia questo significa la fine di un incubo – racconta l’avvocatessa -. Sì perché il Covid è questo: non è solo un virus, una malattia, ma è un incubo, una devastazione, uno sconvolgimento del corpo, della mente e dell’anima. Dopo 34 giorni finalmente sto bene: non solo il mio tampone è diventato negativo, ma mio padre, grazie a Dio, dopo 15 giorni è uscito dall’ospedale, stanco, dimagrito, invecchiato, ma è uscito sulle sue gambe, respira da solo e può dire di avercela fatta, dopo quella maledetta notte con l’ossigeno che non bastava, con la saturazione che scendeva a 70, con l’apparecchio che suonava, con le telefonate disperate al 118, con quelle parole pronunciate: ‘Non ce la faccio più’. Ed io posso finalmente uscire per andarlo a prendere in ospedale, e portarlo a casa, dove lo aspetta mia madre, anch’essa finalmente guarita e diventata negativa".

"Mi sento in colpa – continua Francesca – per essere felice di tornare a vivere, proprio oggi, in cui piangiamo il nostro collega che non ce l’ha fatta (l’avvocato Massimo Proietti ndr); già prima mi sentivo in colpa per averlo portato io a casa questo maledetto virus e per aver contagiato i miei genitori. La cosa che non doveva accadere invece è successa".

L’avvocato Carcascio ringrazia chi le è stato vicino; la sua bambina e il papà che per oltre un mese l’ hanno vista solo dallo schermo di un pc, aprendo un’ultima riflessione.

"‘Perché non mi hai detto subito che eri positiva?’ Mi sono sentita ripetere questa frase spesso in questi giorni, da tante persone, che magari nemmeno avevano avuto contatti con me – aggiunge ancora _. Ma voi pensate che quando uno si ammala e sta male, è isolato, ha voglia di sbandierare ai quattro venti le condizioni in cui si trova? E poi tutta la burocrazia, i ritardi, il mancato tracciamento, la App Immuni mai sbloccata, mia figlia, il tampone dopo una settimana, il risultato dopo 10 giorni; mia figlia isolata, è contatto stretto, non lo è, può andare a scuola, non ci può andare, ed un tarlo fisso: ‘Ma io sono stata attenta, ho disinfettato tutto, ho sempre indossato la mascherina, non sono andata da nessuna parte eccetto che a lavoro, non sono risultata lo stretto contatto di nessuno, eppure...’".

Stefano Cinaglia