Il legame tra un padre e una figlia, gli inciampi, le fragilità, la passione condivisa per il cinema durante gli anni di piombo. E’ un omaggio commovente e appassionato al padre, il grande regista Luigi, il nuovo film di Francesca Comencini (foto sopra), “Il tempo che ci vuole“ interpretato da Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano (foto sotto). Dopo il successo alla Mostra di Venezia, la pellicola è approdata nelle sale di tutta Italia e oggi Francesca, regista e sceneggiatrice dallo sguardo sensibile e profondo, arriva in Umbria per presentarla al pubblico: alle 18 sarà al Metropolis di Umbertide, alle 21 al PostModernissimo a Perugia dove l’attesa è altissima, con biglietti disponibili su liveticket.it.
E’ un film molto autobiografico. Come è stato girarlo?
"È un film personale, è vero, ma senza rinnegare l’autenticità dei miei ricordi, io li ho trasformati in fantasia, emozioni, libertà e ho costruito un racconto, anche con scelte immaginative. La materia così bruciante, che ho tenuto per anni dentro di me, è diventata cinema, in un processo creativo più universale possibile".
Quanto si intrecciano vita e cinema nella sua famiglia?
"Per mio padre il cinema è stato una scommessa totale, radicale, strappata a tutto, compresa un’infanzia difficilissima. In maniera organica ha poi trasmesso questa passione a noi".
E lei come l’ha fatta sua?
"Da una parte cercando nella vita un atteggiamento di rigore, accettazione delle difficoltà, gentilezza e profilo basso. Ma dall’altra ho anche inseguito una mia voce, distinta da quella di mio padre, che mi legittimasse. Non sono andata mai sul facile, ho sempre puntato a film pieni di fantasia, immaginazione e sentimenti".
Si è mai chiesta cosa penserebbe suo padre di questo film?
"No ma ho iniziato a pensarci perché tanti me lo chiedono. Non riesco a immaginarlo, ho fatto questo film per rendergli omaggio".
E quanto sono importanti gli incontri con il pubblico?
"Moltissimo, sono impaziente di venire a Perugia. Penso che un regista possa capire il film che ha fatto solo con l’incontro col pubblico, è allora che il film inizia a vivere, vibrare, respirare in un atto d’amore reciproco. Qui le reazioni sono molto soggettive e diverse, il film apre finestre sui rapporti e sull’essere padre e figli. Ognuno lo è a modo suo".
Ha legami con l’Umbria?
"Ne ho molti, anche se l’ho un po’ tradita. L’ultimo film di mio padre, dove ero aiuto regista, “Marcellino pane e vino“ è stato girato nella zona di Ferentillo ma nella mia pellicola l’ho trasferito a Napoli come omaggio alla città di mia madre. Ho molti ricordi legati a quel set e a Orvieto, città che amo e che ho frequentato per molte stagioni della mia vita".