C’erano una volta le lavandaie e gli uncinatori...

Il fiume Tevere ha rappresentato una risorsa economica per le famiglie legate ad antichi lavori come raccoglitori di legna e lavandaie a Pretola. La pratica è durata fino agli anni Cinquanta, con 369 lavandaie tra Pretola e Ponte Rio. Si spera che le tradizioni vengano tramandate ai giovani.

Un testimone del posto il signor Anselmo Diarena racconta che: “Famije ntère émo vissuto col fiume”. Prima di sposarsi disse alla futura moglie: “Prega Dio che quel giorno nce sia la piena che alora dovrè venì a casa mia da sola”. Uomini e donne legati al fiume e che svolgevano antichi lavori come quello dei raccoglitori di legna dal fiume e quello delle lavandaie. Uncinatori (o chiappalegno) prendono il nome dallo strumento in legno, l’uncinèa ricavato dalla ramificazione dell’acero campestre: questo legato ad una lunga corda, veniva lanciato nel corso delle piene del Tevere sulla superficie dell’acqua per recuperare rami, tronchi, parti di alberi, bestie vive. La legna messa ad asciugare veniva utilizzata per il fuoco sia per le case che per l’attività ad esso connessa quella delle lavandaie che bruciavano i legni nella fornacetta per scaldare l’acqua e fare la “bucata”. A fine 1800 in questa zona di Pretola era nata una vera “industria” che aveva reso il paese la “lavanderia di Perugia”. Fu creato un sistema di lavaggio con il quale facevano fronte alle richieste delle famiglie benestanti di Perugia. La pratica di lavare panni nel fiume fu portata avanti fino agli anni Cinquanta con 369 lavandaie tra Pretola e Ponte Rio. L’ultima, Elda Giovagnoni, ci ha lasciato questa testimonianza: “Il fiume, per la mia famiglia e per il nostro paese, rappresentava una grande risorsa economica”. Si spera che i giovani tramandino queste tradizioni e non dimentichino il “Sentiero dei raccoglitori di legna”.