
Una moderna Biancaneve che cade avvelenata dalla "mela abortiva". Così si è svegliata Perugia ieri mattina, travolta dalle polemiche sui cartelloni affissi e targati "Comitato pro vita e famiglia". Subito la levata di scudi: "Vanno rimossi perché sono contrari alla legge" e "sono insulti all’intelligenza", la protesta dalla senatrice Emma Pavanelli (M5s) e dal deputato Walter Verini (Pd) per quell’immagine che ritrae una donna svenuta dopo il morso a una mela e a grandi caratteri il testo: "Prederesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva Ru486. Mette a rischio la salute della donna e uccido il figlio nel grembo".
Per la parlamentare umbra il manifesto "usa la donna per far passare messaggi sia ideologici che medievali e considera la donna che abortisce alla stregua di una scapestrata che annoiata abortisce e, infine, va contro la legge, facendo passare il messaggio che la pillola è illegale in quanto uccide". Nel frattempo "le donne umbre si sono attivate dando vita ad una petizione che chiede l’immediata rimozione dei manifesti dalle strade umbre", scrive ancora Pavanelli auspicando che "i sindaci, compreso quello di Perugia Andrea Romizi, tolgano o vietino questi messaggi scandalosi, non veritieri e offensivi nei confronti della donna". Per Verini, invece, i manifesti "non sono opinioni, ma insulti all’intelligenza, attacchi alla dignità delle donne e di tutte le persone. Il Paese e l’Umbria non torneranno a questi livelli, nonostante queste manifestazioni volgari e incivili".
Un episodio analogo si era già verificato qualche anno fa, quando a sfidare i manifesti fu il sindaco di Magione Giacomo Chiodini, che con specifica ordinanza a sua firma li fece rimuovere. L’associazione fece ricorso al Tar e il Comune lo perse, in quel caso - secondo le motivazioni della sentenza - per "cavilli" formali che inficiarono il merito "politico" della questione: era stato il sindaco a firmare il decreto che invece spettava al responsabile della polizia municipale, i giudici del Tar rilevarono l’incompetenza del "sindaco ad emanare il provvedimento" perché "non qualificabile come contingibile ed urgente, non essendo nel medesimo atto riscontrabili i requisiti di un provvedimento siffatto".