Accoltellato a morte in casa, confessa l'assassino: "L'ho ucciso per difendermi"

La tragedia di Umbertide: una zuffa tra disperati

I carabinieri davanti alla casa e, nel riquadro, la vittima

I carabinieri davanti alla casa e, nel riquadro, la vittima

Umbertide (Perugia), 19 ottobre 2020 - L’hanno trovato riverso in bagno, al di là di una porta sfondata a spallate, in una pozza di sangue: una coltellata alla schiena, altre due al braccio e all’emitorace sinistro. Abdeltif Hachiche, 35 anni, marocchino clandestino è forse stato vittima di una serata di alcol, violenza e gelosia. O magari di altro. Se è vero - come è vero - che il suo aggressore, reo-confesso, l’ha conosciuto in quel mondo di degrado e violenza che è lo spaccio di droga. La porta di ingresso di tanti fantasmi del Maghreb.

E Umbertide si è svegliata, ancora, con le stimmate di un delitto tra disperati. Boscaiolo incensurato e regolare l’aggressore (Hassane Bouskour, 42 anni), conosciuto alle forze dell’ordine Abdelatif, clandestina la donna che era con loro: testimone chiave del delitto, se non fosse per quell’anomala chiamata al 118 nel cuore della notte: "Venite, ho ucciso un uomo".

E’ mezzanotte e 40, in una palazzina un pò fatiscente di via Roma, una delle prime case popolari della città. Urla strazianti bucano il silenzio di una città addormentata e nebbiosa. Sulla scena del crimine arriva l’ambulanza e i carabinieri. La casa è piena di sangue.

Nell’ingresso-salotto dove sarebbe avvenuto il delitto, in cucina dove l’aggressore sarebbe andato a pulirsi le ferite alle mani. C’è una bottiglia spaccata: gli schizzi dell’acol sulle pareti. Hassan e la donna sono lì. Lei ha indosso solo un reggiseno e un paio di leggins e, soprattutto, una ferita lacero-contusa alla testa. Accusa l’uomo, il suo convivente: ’Voleva ammazzarmi’.

Hassan viene portato via, in caserma a Città di Castello e davanti al pm Giuseppe Petrazzini, al maggiore del Nuclelo investigativo Claudio Scarponi e al capitano Giovanni Palermo confessa: "Ammetto di aver ucciso Abdeltif ma ho agito per difendermi". Racconta della gelosia. Il pomeriggio e la serata trascorse a bere vino con la vittima e altri due uomini, le avacens alla donna e l’allontanamento da casa del clandestino.

"Non eravamo amici, eravamo conoscenti di spaccio". E lo aveva ospitato in casa, in attesa che trovasse lavoro. Poi, forse complice l’acol l ui aveva abbracciato la donna. E lo aveva buttato fuori di casa insieme a vestiti e coperte. Poi Hassane si era allontanato. La deposizione è confusionaria. Avrebbe quindi chiamato il cugino per farsi aiutare visto che Abdeltif sarebbe tornato alla carica.

"Voleva uccidermi con un grosso oggetto metallico (forse un portaombrelli) – spiega alla presenza del suo legale, l’avvocato Dario Epifani – e io mi sono difeso, tirando fendenti". Poi, una volta a terra, l’avrebbe finito a colpi di mattarello. Ma ci sono alcuni aspetti che non tornano: il corpo trovato in bagno, la chiamata al 118 e il cellulare della vittima buttato. Come a nascondere il delittaccio. .

La donna, con il telefonino di Hassane chiama e si autoaccusa: "Ci eravamo messi d’accordo per questa versione". Ma poi ritratta e lo accusa di averla aggredita mostando quel fendente sulla fronte. Quanto al corpo spostato in bagno Hassane non lo sa spiegare. "Quando sono uscito per chiamare un’amica era nell’ingresso, non so se si sia trascinato in bagno o ce lo abbia portato lei. Ma quando ho sfonda to la porta era rannicchiato, rantolava ma era ancora vivo".