
Dante Morandi, in una foto d’epoca Ciclista classe 1958 si impose nella tappa Parma-Marina di Pisa
"La vittoria? Tanto importante da chiamare mia figlia Marina". Prego riavvolgere il nastro al 19 maggio 1980. Sulle nostre strade si compie il destino della quarta tappa del Giro d’Italia: Parma-Marina di Pisa. Centonovantre chilometri che vedono alzare al cielo le braccia di Dante Morandi. Classe 1958, fiorentino di Raggioli di Pelago, Morandi vinse in volata.
Apriamo il cassetto dei ricordi.
"Nulla di più facile".
In che senso?
"Ricordo benissimo metro per metro ciò che avvenne. Per altro all’arrivo doveva esserci pure mia moglie. Ma era in stato interessante e all’ultimo mese di gravidanza così le dissi di stare a casa".
E così fu?
"Sì. Però poi abbiamo deciso di chiamare nostra figlia proprio Marina...".
Cosa accadde in quella corsa?
"Avevamo percorso il Passo del Rastrello quindi guadagnammo la pianura Toscana. Dovevo tirare la volata a Giovanni Mantovani, il mio capitano. Però, a ruota non c’era e allora...".
Quindi?
"Decisi di giocarmi le mie carte e di provare a mettermi in proprio. E andò bene e fu davvero emozionante".
Perché?
"Era la mia prima vittoria nei professionisti e questo ha rappresentato per me un po’ una svolta professionale. Questo successo mi permise di farmi un ‘nome’ nel ciclismo e infatti l’anno dopo fui chiamato nella squadra di Moser. E poi...".
Che cosa?
"Quel pomeriggio a Marina c’erano tantissime persone. Davvero una giornata fantastica".
Come è cambiato il ciclismo in questi anni?
"Completamente stravolto. Posso vantarmi di aver corso con grandissimi campioni. Allora non c’erano i computer a dettare i tempi della gara o le radioline a indicarti i distacchi. Il capitano doveva interpretare la gara senza aiuti. Nessuna tecnologia, solo istinto e passione".
Niente borracce aerodinamiche.
"Macché. Poi c’erano le gare dei gregari. Quei giorni in cui dovevi tirare il fiato per le tappe future e allora dovevi stare attento a non finire fuori tempo massimo. Ma, al tempo stesso, dovevi farti trovare pronto se il tuo capitano ti diceva di metterti a lavorare. Non potevi tirarti indietro. Le posso dire una cosa?".
Certo.
"A mio avviso quel ciclismo era più spettacolare. Perché i campioni si attaccavano senza poter fare calcoli. Ti sfidavi a viso aperto fino a quando avevi fiato e non potevi fare chissà quali calcoli. Era più bello da vivere ma anche da vedere".
Oggi per chi tifa?
"Tadej Pogačar è fuori categoria. Gli altri, non saprei. C’è chi punta al Giro, chi al Tour... prima i campioni le correvano tutte o quasi".
Verrà a vedere la tappa di Pisa?
"Spero proprio di sì".
Per lei cosa è il ciclismo?
"Uno sport che insegna molto più di altri. Con il ciclismo impari davvero che cosa sia il sacrificio e la fatica e che la vittoria non è tutto. Spero che questo spirito resti immutato anche nelle prossime generazioni, me lo auguro".