
Il coraggio di Don Paoli. Il missionario lucchese che accolse in convento centinaia di ricercati
LUCCA
Il 24 giugno 1940 Arturo Paoli fu ordinato sacerdote. Gli fu assegnato un vecchio edificio che diventò la casa dei Padri Oblati del Volto Santo. Insieme ad altri preti don Paoli cominciò ad occuparsi dei giovani e degli operai di Lucca. Dal 1943 in poi, però, molti preti lucchesi si occuparono di aiutare i perseguitati dai nazifascisti. Così, quando i tedeschi occuparono Lucca la casa degli Oblati diventò rifugio di ebrei, partigiani e persone che rischiavano la deportazione nei campi in Germania.
In stretto collegamento con Giorgio Nissim dopo la cattura di Nathan Cassuto, responsabile di Delasem (Delegazione assistenza emigranti ebrei), l’organizzazione ebraica che assisteva i perseguitati, don Paoli e i suoi confratelli cominciarono a ospitare i profughi e i ricercati. Il metodo di ricovero si basava su un meccanismo di riconoscimento piuttosto originale: Nissim inviava da don Paoli persone che mostravano mezza banconota da 5 lire, se il numero di serie combaciava con una delle mezze 5 lire che Nissim aveva lasciato in precedenza a don Paoli la persona aveva bisogno di aiuto.
In quegli anni di inferno della Seconda Guerra Mondiale, per merito di don Paoli, centinaia di ebrei furono salvati dalle deportazioni, come Zvi Yacov Gerstel, sopravvissuto all’olocausto nazista perché nascosto da don Paoli nella casa degli Oblati. Gerstel, nato nel 1921 a Colonia, si trasferì con la famiglia nel 1927 ad Anversa, in Belgio, per sfuggire alle persecuzioni naziste. Quando i nazisti invasero anche il Belgio la famiglia fu divisa. I genitori e il fratello furono deportati ad Auschwitz dove morirono nelle camere a gas, mentre Gerstel fuggì, prima a Lione, poi con altri ebrei a Nizza (che era sotto l’occupazione italiana) e da lì a Livorno.
Ma quando la situazione cominciò a diventare difficile anche lì si presentarono Giorgio Nissim e don Arturo Paoli che spostarono Gerstel, la moglie e altri profughi alla Certosa di Farneta, ma anche questo luogo non era più sicuro, così Gerstel fu ospitato in casa di una contessa che dopo qualche giorno, preoccupata e timorosa di essere denunciata con l’accusa di nascondere ebrei, cacciò Gerstel e la moglie. Fu ancora don Paoli a occuparsi di loro, facendoli spostare a Lucca dove la moglie di Gerstel fu aiutata a partorire la prima figlia all’ospedale dalla sorella di don Paoli, Annamaria.
Ma i tedeschi stavano intensificando le ricerche degli ebrei nascosti. Così don Paoli portò la famiglia ebrea all’ex seminario che gestiva. Li nascose in una stanza della biblioteca dove un giorno furono quasi scoperti dai nazisti che stavano controllando i locali gestiti da quel prete sospettato da tempo di collaborazionismo con la resistenza al nazifascismo. Dopo la guerra don Paoli passò circa dieci anni a Lucca come educatore, poi fu chiamato a Roma presso la Segreteria di Stato Vaticana e da lì passò cappellano sulle navi passeggeri a Genova. Fu li che entrò in contatto con i "Piccoli fratelli del Vangelo", confraternita alla quale si legò e che lo portò a fare il missionario nel mondo.
Il 25 aprile 2006 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi volle consegnare la medaglia d’oro al valore civile, per meriti nei confronti della popolazione nel periodo della Liberazione, proprio a don Arturo Paoli come "mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà". Con lui furono insigniti della stessa onorificenza i suoi confratelli don Sirio Niccolai, don Cesare Staderini, don Renzo Giovanni Tambellini e Giorgio Nissim. Insieme a loro, in quell’anniversario della Liberazione, Ciampi conferì la medaglia alla memoria anche a un altro famoso personaggio toscano, Gino Bartali, coinvolto nelle attività di aiuto agli ebrei dal cardinale di Firenze Elia Angelo Dalla Costa.