di Marcello Venturini *
La prima idea dell’Invaso di San Piero in Campo risale agli anni 30 per una funzione prevalentemente agricola. Solo negli anni 70, dopo l’alluvione di Grosseto del 1966, si ripropose l’interesse per l’invaso anche per favorire la regimazione dell’Ombrone a monte. Urgente era il problema dell’approvvigionamento di vari Comuni. Sarà negli anni 80 che verrà decisa dalla Regione la realizzazione e ne venne delegato prima il Consorzio per la bonifica della Val d’Orcia e, successivamente, la Comunità Montana dell’Amiata. Lo strumento operativo venne, individuato, in un Consorzio tra i sei Comuni più interessati.
Nel 1984 iniziarono i lavori che procedettero fino al 1990, quando si interruppero non tanto per le proteste ambientaliste, quanto piuttosto - per quanto a me noto - per la difficoltà a reperire i finanziamenti. Negli anni successivi si registrò il blocco dell’attività. Nel 1995 fui nominato dalla Regione Commissario Straordinario. Cessata tale funzione, fui poi nominato dai Comuni associati nel 1998 come Commissario Liquidatore del Consorzio. Al momento erano già stati realizzati l’avandiga, la torre di comando e gli scolmatori di fondo e di superficie. Sotto la mia gestione, le opere in questione hanno formato oggetto di collaudo da parte di una Commissione, composta da ingegneri del Servizio Nazionale Dighe. Essa ha accertato che le opere corrispondevano ai progetti e che erano in ottimo stato. A quel punto, restavano da realizzare quasi tutto il corpo diga, le opere accessorie, le infrastrutture viarie e la strumentazione, compresa quella relativa all’utilizzo acquedottistico. La Regione ritenne la necessità di verificare la sussistenza delle ragioni che avevano indotto alla realizzazione dell’opera. A tale scopo fu nominata una Commissione tecnica regionale e fu acquisita la consulenza di un gruppo di lavoro coordinato da un noto economista.
Sulla base di questi contributi e degli orientamenti formulati dagli organismi di programmazione, la Regione decise di non procedere al completamento e di provvedere al rifornimento idropotabile con le risorse della diga di Montedoglio. Un diverso orientamento fu assunto dalle sei amministrazioni costituenti il Consorzio. Da alcuni articoli apparsi sembra che la Regione intenda definire un programma per il reperimento della risorse idriche e che, in questo contesto, l’Invaso di San Piero stia tornando di attualità. È mio parere che opere complesse come queste dovrebbero essere attentamente valutate negli studi preliminari, ma che - una volta iniziate - dovrebbero arrivare a conclusione, senza ripensamenti e intoppi.
Allo stato attuale, una decisione sul completamento dovrebbe verificare lo stato di conservazione e la possibilità di recupero delle opere, oltre che la compatibilità della stessa rispetto ad alcuni presupposti che hanno subito modificazioni nel tempo. Sarebbe necessaria una verifica dell’impatto ambientale, utilizzando i nuovi strumenti scientifici a disposizione. In caso di conferma dell’abbandono, rimane il problema del risanamento ambientale. Per quanto riguarda il soggetto istituzionale cui affidare un eventuale completamento é stato ipotizzato possa essere individuato nel Consorzio Toscana Sud. La mia esperienza mi induce a raccomandare una chiara ripartizione delle competenze e l’adozione di procedure amministrative semplici e funzionali. Il mio impegno é durato 10 anni tra grandi difficoltà e rischi. Si è concluso nel 2006 con il trasferimento delle opere realizzate e dei terreni espropriati alla Comunità Montana dell’Amiata (ora Unione dei Comuni Amiata Val d’Orcia).
*Già commissario straordinario all’invaso nel 1995