
Paolo Maccari, originario di Colle di Val d’Elsa, oggi vive e lavora a Firenze, autore di diverse raccolte poetiche
"Scrivere è un modo per tornare a Colle". Paolo Maccari, originario di Colle di Val d’Elsa, oggi vive e lavora a Firenze. È autore di diverse raccolte poetiche (Ospiti, Fuoco amico, Contromosse, Fermate) e quest’anno ha esordito nella narrativa con Ballata di Memmo e del Biondo, un romanzo che definisce "relazionale" e che ha come protagonista la sua città natale, raccontata con intensità e partecipazione.
Perché questo romanzo?
"Per riappropriarmi di Colle. È stato un modo per tornarci mentalmente. Avevo bisogno di tempi più dilatati, di un ritmo diverso rispetto alla poesia: il romanzo mi ha permesso una scrittura più lenta, più riflessiva".
Hai scritto una Colle "strapaese"? (Strapaese è un termine che nasce con "Il Selvaggio", rivista, appunto, fondata da Mino Maccari. In ambito letterario e culturale il termine indica un atteggiamento di esaltazione della provincia italiana, in contrapposizione alla cultura urbana, cosmopolita e "intellettuale"). "No, non è un’esaltazione della provincia. C’è piuttosto un forte legame affettivo. Ho voluto raccontare due generazioni: quella dei miei padri e la mia. Non evitando lo scontro tra le due". Che tipo di romanzo è?
"Un romanzo relazionale. Parla di rapporti, tra generazioni ma anche tra persone. Al centro ci sono l’amore, l’amicizia, il tradimento. Mi interessava in particolare il tradimento dell’amicizia, che considero profondo quanto quello amoroso".
Qual è la prima immagine del romanzo?
"È quella di un Biondo che parte da piazza Arnolfo, supera Porta Nova e percorrendo la Costa, quella che lui considera la strada più bella del mondo. È una vera e propria riappropriazione dei luoghi. Poi c’è Memmo: siamo nel 2009, lui ha ottant’anni ed è un personaggio colligiano in tutto: fazioso, amaro, pessimista, ma animato da un’etica profonda. È un mangiapreti con una sua spiritualità".
Che rapporto ha con Colle?
"È un legame fortissimo. C’è anche un lato problematico: da ragazzo mi pesava quel modo tipicamente colligiano di dire "la gente si comporta così…", come se noi, io e l’interlocutore, non avessimo fatto parte della gente. Ne fossimo stati al di sopra. Col tempo, però, ho riconosciuto che in quella frase c’è anche una saggezza antica e una certa capacità di leggere le intenzioni di chi ti si avvicina". Colle Capitale della Cultura: che ne pensa?
"Vivo lontano da trent’anni, quindi non ho una visione precisa. Se l’occasione servisse per avviare attività culturali davvero urgenti per Colle, allora sarebbe preziosa. Penso, ad esempio, all’associazione Romano Bilenchi e a tutto il patrimonio di Bilenchi che merita di essere valorizzato. È importante recuperare le grandi figure del passato, come Bilenchi, per restituire ai cittadini la consapevolezza della ricchezza culturale che Colle ha saputo esprimere".
Lodovico Andreucci