RICCARDO BRUNI
Cronaca

Le tracce del passato. Per Maaza Mengiste: "quella foto del 1935 è l’Etiopia occupata"

Lezione della scrittice etiope all’aula magna dell’Università per Stranieri. Il rettore Montanari: "E’ la prima della Cattedra Virginia Woolf, ogni. anno porteremo a Siena protagonisti di livello internazionale".

Le tracce del passato. Per Maaza Mengiste: "quella foto del 1935  è l’Etiopia occupata"

Le tracce del passato. Per Maaza Mengiste: "quella foto del 1935 è l’Etiopia occupata"

C’erano quelle ‘tracce del passato’, tanto care a Virginia Woolf, a tessere la trama dell’incontro con il quale ieri pomeriggio l’Università degli stranieri ha inaugurato la Cattedra intitolata alla scrittrice, nell’aula magna che porta il suo nome. C’erano le ‘tracce del passato’ nella lettera che la scrittrice etiope Maaza Mengiste, alla quale è stata affidata la prima lezione, ha scritto a una persona reale, che nella lettera è chiamata semplicemente M, e ha letto al pubblico, davvero numeroso.

Un flusso di parole con il quale Mengiste ha stregato tutti, un racconto intenso in cui il tema della tragedia palestinese ha incontrato quello dell’occupazione coloniale dell’Italia in Etiopia, al quale la scrittrice ha dedicato il romanzo ‘The Shadow King’ (‘Il re ombra’), finalista al Booker Prize 2020 e selezionato fra i migliori libri dell’anno dal New York Times, in Italia tradotto per Einaudi da Anna Nadotti, intervenuta ieri insieme a Silvia Antosa, docente di Lingua e traduzione inglese, e Tiziana de Rogatis, docente di Letterature comparate.

"Questa è la prima edizione della Cattedra Woolf – ha ricordato in apertura il rettore Tomaso Montanari – con la quale l’Università per stranieri vuole portare ogni anno a Siena figure capaci di ispirare pensieri nuovi, ragionando, parlando, scrivendo. Perché siamo convinti che si debba partire da qui per riscrivere il mondo". "Il romanzo di Maaza Mengiste – ha sottolineato Daniela Brogi, docente di Letteratura italiana contemporanea, prima di passare la parola alla scrittrice – è un controcanto post coloniale, perché porta in primo piano le vite del popolo etiope e delle donne etiopi. Un grande romanzo sperimentale, attorno all’uso della fotografia e del bisogno che ha il potere delle immagini. L’italia non ha ammesso l’uso di armi chimiche in Etiopia fino al 1996, anche perché mancavano immagini".

Nella lettera che la scrittrice ha letto, il riferimento è proprio a una fotografia che risale al 1935. "Mi ossessiona – ha detto – e la guardo in continuazione. È stata scattata da soldati italiani e ricorda come le foto possono portare qualcosa in evidenza oppure nasconderlo. I fascisti sapevano che la propaganda doveva essere portata avanti anche con le immagini". Il romanzo di Mengiste nasce proprio dall’urgenza di ricostruire quella storia, andando a scavare in quello che non è stato raccontato. E così quella foto diventa un elemento narrativo dirompente. Come racconta la scrittrice, vi compaiono due uomini. C’è un etiope con i pantaloni strappati, scalzo. Ha il mento abbassato. L’altro è un italiano. Vestito bene, con la camicia abbottonata fino al collo, i pantaloni puliti, le scarpe buone e il cappello inclinato, che gli para il sole e gli consente di tenere la testa alta.

"Una foto come questa – racconta la scrittrice – poteva raccontare chi era civilizzato e chi non lo era. La macchina fotografica aiutava a confermare i benefici altruistici del colonialismo. E noi ricordiamo quello che vediamo, anche se quello che vediamo non è del tutto vero".