La storia di Pasquino e la zingara: "Un amore che abbatte i muri"

Il giornalista Paolo Ciampi e l'editore BEE hanno intitolato "La zingara di Montepulciano" la raccolta di leggende toscane dell'autore fiorentino. La scelta del titolo è stata fatta attraverso una consultazione e la storia racconta di un amore che supera le differenze culturali. La storia si svolge nel XV secolo e coinvolge un giovane scalpellino e una zingara. La leggenda è collegata al territorio e ha un finale sorprendente.

Non c’è una strategia di marketing dietro la scelta del giornalista e scrittore Paolo Ciampi e dell’editore BEE di Udine di intitolare "La zingara di Montepulciano" la recente raccolta di leggende toscane dell’autore fiorentino. Come spiega lo stesso Ciampi (che ama il linguaggio dello sport), "la scelta del titolo è stata oggetto di una lunga consultazione; abbiamo creato un tabellone con i titoli di tutti i racconti, gli scontri diretti hanno visto via via cadere le teste di serie e, in una finale che ha avuto il sapore del derby, la zingara ha prevalso su "I pulcini di Porsenna", chiaramente proveniente da Chiusi". Ma perché, in una rassegna di leggende toscane che può annoverarne di ben più famose o prestigiose, proprio quella ambientata a Montepulciano? "Perché è una storia più che una favola, tra persone normali, senza effetti speciali, è semplice e appartata: e la semplicità sa di verità. Una storia che ha un valore importantissimo per il nostro tempo; racconta di un amore che nasce indipendentemente dall’appartenenza a gruppi, etnie o culture; un amore che abbatte i muri".

Siamo ai primi del ‘400, un giovanissimo e squattrinato scalpellino di Montepulciano, Pasquino di Matteo, e un altrettanto giovane zingara, accampatasi con la propria carovana alla periferia della cittadina, si conoscono, si innamorano. Prima di unirsi devono però affrontare difficoltà apparentemente insormontabili, dovute alle regole delle rispettive comunità; così, prima di poter assaporare il lieto fine, Pasquino, che diventerà poi un celebre e acclamato scultore a Prato, a Urbino e al Vaticano, è talmente disperato da riprodurre le fattezze dell’amata nell’opera a cui sta lavorando, il volto della Madonna che fa parte della lunetta che sovrasta l’ingresso della Chiesa di Sant’Agostino. "E’ un po’ il senso delle storie toscane del sud - sottolinea Paolo Ciampi -, che non puntano mai al fiabesco, sono collegate al territorio, a luoghi determinati e riconoscibili ed ancorate a personaggi storici. Poi si ritrovano, simili, in altre parti della regione o addirittura d’Italia (ho avuto segnalazioni da Friuli e Puglia), con tratti comuni o anche con finali diversi". E a proposito di finali, anche il racconto della vita e dell’opera di Pasquino ne riserva uno a sorpresa: verso la fine dell’800 l’opera di terracotta con S.Giovanni Battista, la Madonna col Bambino e Sant’Agostino viene infatti attribuita a Michelozzo, autore anche della facciata della Chiesa, tesi poi confermata da riscontri documentali. Così la "dolce leggenda di Pasquino che avesse voluto eternare nelle sembianze della Madonna la sua diletta fanciulla (come scrive l’editore Sonzogno già negli anni ’20, ndr) viene a cadere".

Diego Mancuso