MASSIMO BILIORSI
Cronaca

I miti di ieri nell’epopea della bicicletta

Era il 23 maggio 1986 e il Giro d’Italia arrivò a Siena. Si correva la cronometro da Sinalunga a piazza...

Era il 23 maggio 1986 e il Giro d’Italia arrivò a Siena. Si correva la cronometro da Sinalunga a piazza...

Era il 23 maggio 1986 e il Giro d’Italia arrivò a Siena. Si correva la cronometro da Sinalunga a piazza...

Era il 23 maggio 1986 e il Giro d’Italia arrivò a Siena. Si correva la cronometro da Sinalunga a piazza del Campo. La foto di Augusto Mattioli ferma un particolare, una ’devozione’ verso il mito del tempo, Francesco Moser che poi arrivò terzo nella classifica finale. 69° Giro vinto da Roberto Visentini, mentre il secondo posto fu conquistato da Giuseppe Saronni, che aveva la maglia rosa nella tappa senese.

La Corsa rosa è sempre stata un mito, quasi non è necessario scomodare Paolo Conte che è sempre in sottofondo con la sua ’Diavolo rosso’, la vicenda di Giovanni Gerbi, altra leggenda del ciclismo italiano, soprannome che gli fu coniato quando, durante una fuga in gara, finì nel bel mezzo di una processione e il parroco, vedendo il ciclista sfrecciare vestito con la sua riconoscibile maglia da corsa rossa, lo apostrofò in piemontese con la frase "Chi a l’è con li? El Diav?".

Infondo lo ieri l’altro, ieri e anche l’oggi guardano il ciclismo mantenere la sua impronta paesana, di festa improvvisa, per un uomo ancora legato alla sua potenza, nonostante la tecnica raffinata di strumenti sempre più tecnologici. La bicicletta è ancora un miracolo inspiegabile, sembra in un eterno equilibrio su un invisibile filo di acciaio. Un acrobata metallico che attraversa una fune. Infrange tutti i misteri del paesaggio, dell’orizzonte, fino ai mucchi di case su cui scivola via. Si muove sul filo del rasoio, si arrampica in luoghi che noi facciamo a piedi con il fiatone, il cuore in gola, come nel precipizio di Fontebranda, che lei risale senza tanti pensieri. E il pubblico fa ala e lancia messaggi di amore.

È restata quella di un tempo, perché la bicicletta non conosce stagioni. Le auto che le fanno da corona invece si. Come vorremmo rivedere le antiche Fiat rosse dal cofano a forma di cetriolo. Farebbero pendant perfetto con questi miti immutabili. E poi i ciclisti e il loro precoce senso di predestinazione. Sono convinto che molti di loro fin dall’infanzia sanno che un giorno diventeranno campioni. Sono fra i pochi uomini che ancora, beati loro, hanno dei sogni, delle visioni. Viva il Giro.