
di Massimo Bianchi*
È difficile dare conto interamente di tutte le variegate prerogative del mondo e degli interessi di Artemio Franchi, colui che - secondo una fortunata e più volte ripresa definizione - è stato il più grande dirigente sportivo italiano di ogni tempo. Molteplici sono le chiavi di lettura di un personaggio come Artemio Franchi che è stato molte cose allo stesso momento. Franchi era nato a Firenze l’8 gennaio 1922, avrebbe festeggiato cento anni ieri, e la sua storia presenta all’inizio molte similitudini con quelle dei giovani fiorentini con le vacanze estive a Basciano dai nonni materni che tanto ruolo ebbero, insieme a don Ferruccio Calamati, parroco del luogo, nel futuro rapporto con Siena e con la Contrada della Torre, il fidanzamento con Alda Pianigiani nel 1941, le prime conoscenze importanti - una su tutte, Giovanni Spadolini - nella Firenze tanto vivace culturalmente del tempo. Si inserì nella distribuzione dei prodotti combustibili, nel 1954 fondò con altri soci la Ditta Angiolo Bruzzi per la commercializzazione di prodotti petroliferi. Artemio Franchi dimostrò di essere un bravo manager stringendo prima rapporti con la BP e poi avvicinandosi all’Agip. Tutte queste tappe sempre accompagnate dalla passione per il calcio. Dal 1959 al 1965 fu presidente della Lega Nazionale Semiprofessionisti fino a ricoprire una prima volta l’incarico di Presidente della Figc dal 1966 al 1976: sotto la sua gestione per la prima volta la nazionale italiana, guidata dal ct Ferruccio Valcareggi, tornò a vincere nelle competizioni internazionali, conquistando gli Europei del 1968 e arrivando seconda ai Mondiali in Messico del 1970. Nel 1973 Franchi fu eletto presidente della UEFA - a oggi unico italiano - e nel 1974 Vicepresidente della FIFA; dovette poi assumere nuovamente la presidenza della Federazione Calcio italiana fino al 1980. Mantenne invece fino alla sua morte nel 1983 i propri incarichi presso FIFA e UEFA. L’impegno nella FIFA era la naturale conseguenza della stima di cui godeva presso i tre grandi gruppi che governavano il calcio mondiale: quello sovietico, quello anglosassone, e infine il blocco dei paesi sudamericani. Franchi, con la sua determinazione e volontà dimostrate nella scalata verso i vertici del calcio europeo, riuscì a far conquistare all’Italia un peso politico determinante per l’evoluzione e la maturazione del calcio italiano, con effetti positivi non soltanto per la promozione dell’immagine ma anche nel terreno delle idee organizzative e manageriali, come accadde appunto nel caso della costituzione de L’Intent de Florence - la maggiore intuizione di Artemio Franchi in campo europeo.
Ma la vera palestra formativa per Artemio Franchi fu rappresentata dagli ambienti della Federazione: sono due le sue principali realizzazioni: lo sviluppo del Centro Tecnico Federale di Coverciano e la creazione della Lega Nazionale Semiprofessionisti, in seguito Lega serie C e oggi Lega Pro. Significativi i suoi contributi presso l’Associazione Italiana Arbitri dove era iscritto dal 1945 e anche nel Coni dove portò il proprio modo di essere: Artemio Franchi veniva infatti dal popolo mentre di politico aveva solo la vocazione sociale.
In famiglia Franchi, a causa dei troppi impegni, era costretto a stare poco, e anche se i suoi incarichi lo portavano lontano non trascurava di tornare a casa per un compleanno, per Natale, per ogni momento importante.
Nelle sue carte ho ritrovato tra i messaggi ricevuti mentre era all’estero con la nazionale un telegramma con la notizia che la figlia Giovanna aveva superato l’esame di terza media e la sua risposta ironica: "Sono felicissimo, ma la cosa non depone a favore della serietà della scuola italiana". Termino con una frase di Candido Cannavò, indimenticabile direttore della Gazzetta dello Sport: "Se uno dei padri dell’Europa politica è Alcide De Gasperi, nel calcio non c’è dubbio: è Artemio Franchi. Quest’uomo così pieno di modernità conservava integro il suo modo di essere profondamente senese. Ricordo che nel 1982, dopo il trionfo azzurro ai Mondiali, io gli parlavo dei riflessi di quel successo. E lui, tra una risposta e l’altra, infilava dentro il suo amore per la Torre, la sua ansia di rivederla vincere il Palio".
* Vicepresidente della Fondazione Artemio Franchi