REDAZIONE PRATO

Dazi Usa, allarme a Prato. Impennata per la lana, il distretto è in attesa

Trump alza il valore al 30% che andrà a incidere anche sul tessile. Romagnoli: “La preoccupazione principale resta quella generale: catene di fornitura e possibile strozzatura degli scambi internazionali”

Fabia Romagnoli, presidente di Confindustria Toscana Nord

Fabia Romagnoli, presidente di Confindustria Toscana Nord

Prato, 20 luglio 2025 – Il 30% di dazi Usa è una spada di Damocle che pende sulla testa anche del distretto pratese. Una doccia divenuta ghiacciata specialmente dopo i tentennamenti di Trump, che ha fatto schizzare l’iniziale ipotesi del 10% fino al 30% attuale. Si dovrà attendere, però, il primo agosto, data nella quale il nuovo regime daziario diverrà operativo. Decisive per Confindustria Toscana Nord con il suo territorio esteso tra Prato, Pistoia e Lucca le prossime due settimane “che saranno caratterizzate da un dialogo - dai toni forse in parte concilianti e in parte ritorsivi - fra Unione Europea e Stati Uniti: qualche apertura sembra esserci ma la preoccupazione fra le imprese è forte”.

Le esportazioni dell’area Lucca-Pistoia-Prato verso gli Usa sfiorano nella media degli ultimi anni gli 800 milioni annui, pressoché esclusivamente dovuti a prodotti manifatturieri e in progressiva crescita; il mercato statunitense rappresenta il 7,6% del totale dell’export delle tre province. Meno ingenti ma significative anche le importazioni, quantificabili in 180 milioni di euro annui (3,5% del totale), di cui l’85% costituiti da prodotti manifatturieri. I settori dell’area interessati alle esportazioni verso gli Usa sono per il 20% macchinari e apparecchi, principalmente macchine per l’industria cartaria e per il tessile (160 milioni euro nella media degli ultimi anni); per questi prodotti il mercato statunitense vale il 50% del totale, ed è quindi il primo per importanza. Un altro 20% di valori all’export è rappresentato dai prodotti alimentari, e anche per questi gli Usa sono il primo mercato di riferimento con una quota del 30%. Gli Usa sono il primo mercato, con riferimento all’area di Ctn, per il lapideo (quota del 40% del totale dell’export del settore) e le calzature (quota del 20%). Secondo mercato per la farmaceutica e i prodotti in metallo (17%). E’ un caso particolare il 16% recente della nautica e del ferrotranviario. Inferiori ma significative le quote che riguardano altri settori, dal 9% degli articoli di abbigliamento al 6% di tessuti e filati e al 4% del cartario.

E il distretto pratese con che tipo di sofferenza si troverà a confrontarsi? “Nel caso specifico di Prato – afferma Fabia Romagnoli, presidente di Ctn – alcuni prodotti avevano già dazi rilevanti: ad esempio i tessuti cardati e pettinati a maggioranza lana, che sono già al 25% del valore e che vedrebbero la tariffa più che raddoppiata; ma anche alcune tipologie di capi di abbigliamento da donna sono già oggi al 14,9% e alcuni accessori superano il 10%”. Diverso il discorso delle macchine tessili che Prato esporta verso gli Usa, specie per la produzione e il finissaggio dei tessuti non tessuti. “Queste ultime hanno ad oggi dazio zero o minimo: e non a caso, essendo una risorsa indispensabile per l’industria tessile americana”, spiega Romagnoli. Anche se la quota di export della provincia di Prato indirizzata agli Usa è solo del 4,9%, pari a meno di 160 milioni di euro, “i dazi colpiranno in maniera diretta soprattutto alcuni prodotti caratterizzanti il nostro sistema produttivo. Ma la preoccupazione principale resta quella generale: catene di fornitura e possibile strozzatura degli scambi internazionali”.

Secondo Ctn, quindi, il tema dei dazi statunitensi è cruciale per il territorio di Lucca, Pistoia e Prato, in termini sia diretti che indiretti. “L’introduzione di aumenti dei dazi così consistenti va a sommarsi all’attuale rapporto di cambio euro/dollaro che già da solo costituisce un ostacolo forte alle esportazioni. Al di là degli effetti immediatamente misurabili sui singoli prodotti il rischio forse più grave è di sistema, che si abbatterà sulle catene di produzione nel loro complesso, incluse quelle statunitensi”, dice Romagnoli. Che poi prova a tracciare il quadro di quello che potrà accadere: “Le importazioni negli Usa di semilavorati, ad esempio, colpiranno le produzioni dello stesso paese importatore. Non bisogna dimenticare che il problema è già in atto: per esempio su acciaio e alluminio i dazi erano al 25% già prima del ritorno alla presidenza di Trump, che li ha portati al 50% in partenza sulla sola materia prima; ma da marzo c’è stato anche l’allargamento dell’imposizione ai prodotti derivati, divenuti costosi negli Usa”. Una riorganizzazione che cozza con quella che è la crescita economica mondiale, sia dei paesi occidentali che di altri “che storicamente è stata favorita da una concezione degli scambi commerciali all’insegna della libera circolazione delle merci. Le barriere tariffarie di un paese importante come gli Stati Uniti ne innescano altre, fanno lievitare prezzi e inflazione, deprimono i consumi: a rimetterci saremo un po’ tutti, inclusi verosimilmente gli Stati Uniti”. L’auspicio di Romagnoli è che “l’Unione Europea calibri la propria posizione sperando in una rimodulazione meno impattante di quella prospettata. Ma contemporaneamente occorre anche che a livello europeo (oltre che di governo italiano) questa occasione venga vissuta come uno stimolo forte a tarare le proprie politiche economiche in senso più favorevole allo sviluppo industriale”.

Sa.Be.