
Valentina Fodde
Prato, 25 marzo 2021 - Dopo oltre 20 anni la morte di Valentina Fodde resta avvolta nel mistero. Un caso che ha scosso la città in un freddo pomeriggio di gennaio del 2001 quando il corpo di una donna di 28 anni fu ritrovato riverso nel greto del fiume Bisenzio, all’altezza di via Matteotti. Aveva il cranio sfondato, ferita compatibile con una caduta dall’alto (in quel punto la spalletta del fiume è alta dieci metri). Nessun altro segno di colluttazione o violenza. Valentina, di origini sarde ma residente da anni a Campi Bisenzio e con un lavoro stabile in un centro estetico a Grignano, si è uccisa o è stata spinta? Una domanda che dopo 20 anni di indagin, non ha ancora trovato risposte. Sul caso non è stata scritta la parola fine. Anzi.
Qualche mese fa il pm Laura Canovai ha chiesto per la seconda volta l’archiviazione sostenendo che si sia trattato di suicidio (come fra l’altro fu stabilito dopo 4 mesi di indagini nel 2001). Ma per la seconda volta il gip Francesco Pallini ha rigettato la richiesta accogliendo l’opposizione all’archiviazione presentata da Luisa Vitali, legale che rappresenta la madre di Valentina, Petrina Pischedda. "Non si può accogliere – ha scritto il giudice nell’ordinanza – la richiesta di archiviazione in quanto le indagini compiute per accertare il reato non risultano complete, sono necessari ulteriori e più approfonditi accertamenti investigativi per verificare più incisivamente la fondatezza o meno della notizia di reato". Il gip non si è limitato a rifiutarsi di archiviare, ma ha rinviato il fascicolo in procura perché vengano svolte ulteriori indagini su alcuni personaggi all’epoca vicini alla vittima e su diverse testimonianze risultate contraddittorie che non sarebbero state verificate con l’attenzione richiesta dal caso. Il giudice ha elencate punto per punto gli aspetti su cui le indagini – svolte sull’immediatezza del fatto dai carabinieri e poi riprese dalla squadra mobile quando il caso venne riaperto già un paio di anni dopo la morte della donna – devono ora concentrarsi in modo da "chiarire le reali cause della morte".
Anche se – ammette lo stesso magistrato – non sarà semplice visto il "significativo tempo intercorso" dal ritrovamento del cadavere. Fra gli elementi rimasti dubbi, per il giudice, ci sono i rapporti fra la donna e il convivente dell’epoca con cui Valentina ha avuto un figlio. Il bambino aveva due anni quando la madre è morta. La donna sarebbe stata molto legata al piccolo, non aveva mai mostrato intenti suicidi o malesseri che giustificassero un gesto estremo. Fondamentale, come scrive il giudice, è la testimonianza di una passante che venne risentita nel 2015 e che sostenne di aver visto con la coda dell’occhio, il giorno della scomparsa dell’estetista, qualcosa di scuro e voluminoso – tipo un grosso sacco dei rifiuti – cadere dalla spalletta del fiume in via Matteotti. E dopo di aver sentito un tonfo. "Mi soffermavo qualche minuto – si legge nell’ordinanza che riporta la testimonianza – e notavo un signore anziano affacciarsi dalla spalletta di cemento che costeggia il fiume dalla parte dove avevo visto cadere quella cosa. L’uomo, dalla corporatura robusta, si allontanò immediatamente".
Una ricostruzione che per il giudice è verosimile, come è realistico che la testimone possa non aver visto il cadavere perché nascosto dalle sterpaglie. Ma chi era quell’anziano? Non è mai stato chiarito. Decisiva anche la testimonianza di un’amica di Valentina che raccontò di aver ricevuto una telefonata di Valentina la sera prima della scomparsa. "Mi disse che aveva paura. Io fui costretta a interrompere la telefonata perché non potevo parlare. Decidemmo di risentirci il giorno dopo, ma lei scomparve e poi fu trovata morta". Di chi aveva paura Valentina? Una pista seguita dagli investigatori nei primi anni duemila fu quella dell’esoterismo. Poi quella di un giro di prostituzione di cui Valentina sarebbe venuta a conoscenza. Piste senza riscontri. A oggi la morte di Valentina Fodde resta un cold case che il gip di Prato non si sente di archiviare a cuor leggero.