Per raccontare la storia, densa di episodi, di capolavori e di persone, che riguarda le opere salvate durante la seconda guerra mondiale in tutta la provincia di Prato, occorre prima di tutto citare i veri monument men che riuscirono nell’impresa, ben prima degli Alleati.
In quel periodo, lontano più di 80 anni, c’era una sola soprintendenza per Firenze, Pistoia e Prato – che faceva Comune – guidata da Giovanni Poggi: fu lui a proteggere i tesori con l’aiuto di Cesare Fasola, bibliotecario degli Uffizi e, per Prato, dell’ispettore Angiolo Badiani. Resta da citare Leonetto Tintori che fu capace di ri-materializzare il tabernacolo del Lippi, polverizzato dalle bombe.
A delineare la vicenda, tanto variegata quanto eroica, di questo salvataggio è Alessia Cecconi, direttrice della Fondazione Cdse: "Già con l’entrata in guerra dell’Italia, la soprintendenza toscana iniziò a lavorare per la messa in sicurezza delle opere. Dal giugno 1940 – afferma Cecconi – fu organizzata un’imponente trasferta dei pezzi più importanti dei musei in ville di campagna che erano ritenute più sicure dagli attacchi, anche se ancora non si pensava che l’Italia diventasse terra di scontro. Fu una tutela, una precauzione ai massimi livelli per l’epoca. I capolavori vennero di fatto evacuati in un trasloco senza precedenti, e si pensò a schermare in loco le opere inamovibili, come il Pulpito di Donatello (era l’originale, ndr)".
Un luogo su tutti è il simbolo dell’operazione: la villa Medicea di Poggio a Caiano, che divenne una magnifica "Arca di Noè" dell’arte.
"Le opere d’arte di Palazzo Pretorio trovarono ricovero in parte alla villa di Poggio e in parte nelle sale del convento dei San Francesco – aggiunge la direttrice del Cdse – In particolare, la villa Medicea fu designata dalla Soprintendenza come una delle tre ’casseforti’ toscane dove concentrare le opere maggiori, in quel cupo periodo oltre che i quadri del Pretorio, illuminarono le sue sale, benché ’impacchettati’, anche antichi dipinti arrivati da Firenze e Pistoia, tutta la galleria di palazzo Pitti, il San Giorgio di Donatello, i Quattro Mori di Livorno, le statue della Sagrestia Nuova di Michelangelo e quella equestre di Cosimo I de’ Medici, che in un gioco del destino era a casa. E nella sala del biliardi trovò asilo la Primavera del Botticelli, prima di essere trasferita in Val di Pesa".
Sempre la villa Medicea di Poggio, durante il passaggio del fronte, fece da riparo per la popolazione sfollata che si nascose nei sotterranei.
Ma la follia bellica andò avanti e si decise – era il 1942 – di aumentare le protezioni. "Allora furono tolte dalle chiese di Prato tutte le restanti opere d’arte e portate nella villa del Barone a Montemurlo, mentre a Prato furono smontate le formelle del Pulpito di Donatello e sistemate nella cripta del duomo – spiega ancora Cecconi –. I temuti bombardamenti arrivarono nel 1944 con due episodi devastanti, il 16 febbraio e il 7 marzo, in cui furono distrutte anche le chiese di Sant’Agostino, San Bartolomeo, larghi tratti di mura e la pieve di Filettole. Così come la Valbisenzio che fu colpita più volte per spezzare la Direttissima, canale vitale per le truppe. Danni incalcolabili furono poi inflitti al patrimonio della Vallata dai tedeschi in ritirata che fecero saltare tutti i ponti medievali sul Bisenzio. Sono solo alcuni degli scempi della guerra".
Tanta arte fu però salvata. "Dietro al salvataggio c’è il lavoro infinito e silenzioso che si legge negli archivi degli Uffizi – sottolinea la direttrice del Cdse – redatti con caparbia meticolosità, nonostante tutti gli spostamenti delle opere, c’è la passione di tutti i custodi, come Aldo De Luca della villa di Poggio a Caiano, che hanno vigilato pur senza telefono, per riferire si spostavano in bicicletta per ore, fino a Firenze. Il clamore mediatico è arrivato dopo con la storia dei Monument men, tra cui il tenente americano Frederick Hartt che, folgorato dai restauri a Vainella, segnalò la vicenda di Tintori, facendolo conoscere anche negli Usa. E’ stato un giusto risarcimento".
Elena Duranti