SARA BESSI
Cronaca

"Noi che lottiamo da un anno contro il mostro Ora in terapia intensiva pazienti più giovani"

Guglielmo Consales, direttore di rianimazione al Santo Stefano, analizza l’evoluzione dell’infezione dalla prima alla terza ondata

Guglielmo Consales

di Sara Bessi

Ha il volto segnato dalla stanchezza e le mani screpolate per l’uso continuo di guanti protettivi da marzo 2020: ma gli occhi parlano e raccontano delle sofferenze dei pazienti e dei loro familiari, ma anche della volontà determinata a non mollare e a continuare la battaglia contro il virus. Ritroviamo Guglielmo Consales (foto), direttore del dipartimento intensivo e direttore di anestesia e rianimazione dell’ospedale Santo Stefano, dopo averlo incontrato al momento della dimissione dell’ultima paziente da terapia intensiva, a metà giugno scorso. "Nessuno di noi ha mollato, sebbene il lungo periodo di emergenza ci stia provando: la prima fase si è conclusa a giugno", dice Consales. Poi c’è stata la ripresa dell’epidemia "con numeri discreti a settembre-ottobre per arrivare all’esplosione di infezioni. A novembre si è capito che ci saremmo trovati di fronte a una emergenza di lunga durata. In ospedale l’area Covid e la rianimazione stanno reggendo l’urto, nonostante ci siano differenze evidenti fra lo scorso anno e oggi.

Quali sono le differenze?

"A marzo 2020 a c’è stata una riduzione di casi non Covid: i cittadini per paura si rivolgevano meno all’ospedale. Oggi il numero delle persone che arriva in pronto soccorso è alto e riusciamo a gestire i Covid con 20 posti e i non Covid con 11 letti in terapia intensiva. Le prossime due settimane sono annunciate come le più critiche. Si spera, grazie anche alle restrizioni della zona rossa, che il virus inizi a perdere forza".

Quali i provvedimenti presi per affrontare un periodo così duro?

"Da pochi giorni abbiamo sospeso la chirurgia di elezione: dobbiamo reperire anestesisti per convogliarli sull’emergenza Covid. Una sospensione temporanea, che non interessa la chirurgia d’urgenza ed oncologica".

Un’altra differenza è nel numero dei posti disponibili nella terapia intensiva: nella prima fase 40 e nella seconda 20.

"Nella prima fase il primo paziente Covid è arrivato in terapia intensiva il 9 marzo e l’ultimo è uscito il 10 giugno. Rispetto al Nord Italia abbiamo avuto il tempo di prepararsi a fronteggiare non una banale influenza, ma una malattia aggressiva. La nostra forza sta nel lavorare in modo sinergico con i colleghi delle altre specializzazioni ospedaliere: in rianimazione arrivano i degenti con necessità di cure intensive. Dal punto di vista epidemiologico il quadro è cambiato: l’evoluzione della malattia può essere grave non solo negli anziani, ma anche nei più giovani. Purtroppo stanno arrivando pazienti fra i 40-50 ed i 70 anni. Siamo passati dalle circa 50 evoluzioni gravi della prima fase alle attuali 207 (al 27 di marzo, ndr). Nella prima ondata abbiamo avuto un paziente di 39 anni che è guarito come anche alcuni over 80. La degenza media in terapia intensiva è di circa 20 giorni o anche di più".

Come sta rispondendo il personale ad un carico di lavoro così stressante sotto il profilo professionale ed umano?

"Il personale ha sempre risposto in modo straordinario, senza scendere mai sotto gli standard di qualità, sebbene i turni siano massacranti ed il lavoro reso più difficile per i dispositivi di protezione. Abbiamo imparato a lottare per i nostri pazienti e a curarli sempre meglio. La rianimazione pratese fa da fulcro alle altre della rete aziendale: i nostri pazienti gravi trovano sempre un posto in terapia intensiva".

E sotto il profilo umano?

"Siamo abituati a gestire le patologie gravi, ma con il coronavirus c’è un problema di quantità di ammalati. E c’è la questione delicata dei familiari, che non possono visitare i propri cari. Uno dell’equipe è incaricato di telefonare ogni giorno alle famiglie. Spesso sono comunicazioni dure: noi si cerca di metterci l’anima in tutto quello che si fa".

Vi sentire eroi?

"Non siamo eroi: prima di tutto siamo persone che vogliono fare bene il loro lavoro, scelto a prescindere dallo stipendio: medici, infermieri e operatori socio sanitari lavorano per il bene della gente".